Vi ricorderete sicuramente di Chocolat e Hachiko, che sono probabilmente i suoi più grandi successi al box office e che sono indubbiamente due film poco pretenziosi, ma delicati e confezionati con cura della storia e dei personaggi. Ebbene questa volta Lasse Halström si cimenta in un thriller made in Svezia. Una serie di oscuri omicidi da filo da torcere all’ispettore di polizia Joonna Linna (Tobias Zilliacus), che nel mentre si ritrova tra le mani pure un caso di rapimento che appare non avere correlazione con gli omicidi, ma forse anche sì. Tutto ruota attorno all’enigmatica figura di un ipnotista (l’avreste mai detto con un titolo simile?), Erik Maria Bark (Mikael Persbrandt) che ha promesso di non praticare più l’ipnosi a causa di un grosso scandalo che l’ha coinvolto, vicenda che ha popolato le pagine dei giornali e che s’intuisce abbia compromesso la sua salute psicofisica. Non continuo avanti nel racconto perché vi toglierei il gusto di guardarvi il film, tuttavia è indubbio che la storia zoppica un poco dal punto di vista della costruzione della trama criminale. Certi passaggi sono decisamente forzati e poco probabili. Va bene che le sinapsi degli spettatori sono in allerta, ma la consecutio temporum è opinabile. Così come il rapporto di coppia tra l’ipnotista e la moglie Simone (Lena Olin, moglie di Hallström), alle volte poco naturale. Rifinisce bene il film la bellissima fotografia di Mattias Montero, che eleva quindi anche la qualità del racconto e che restituisce dei panorami mozzafiato di Stoccolma e della natura svedese.
A tirare le somme, questo film non è al livello delle commedie più celebri di Hallström. Vuoi che il genere forse non gli si confa, vuoi che la sceneggiatura tratta dall’omonimo romanzo di Lars Kepler forse è troppo povera, vuoi che forse regista e attori non erano ispirati. Come si suol dire, un film da cassetta, anche se indubbiamente la fotografia su maxi schermo rende meglio che sul televisore di casa.
