Concita De Gregorio @ Pordenone Legge 2015

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Sono seduta vicina ad una signora amica della mamma della De Gregorio, intanto che aspettiamo mi racconta della sua favolosa famiglia…
Eccola che esce , è radiosa, ha un bellissimo vestito di seta , è elegantissima …
l’intervista comincia con un breve riassunto del libro “ Mi sa che fuori è primavera” …
concita racconta che all’inizio non voleva scrivere la storia di Irina … poi ascoltando le parole cariche di amore e di speranza di Irina , frammenti di vita , si mette a scrivere. La scrittura come atto di fiducia per cicatrizzare le ferite.
Il libro è un pretesto per cercare una cura, le parole sono la cura. Come si fa a vivere con la speranza nel cuore ? È peggio della morte.
La parola “aggiusta”, la parola è la “colla” per non rompersi in mille pezzi.
Concita De Gregorio racconta Irina , la sua storia di donna, una donna che non ha paura di tornare ad essere felice, di superare il tabù del pregiudizio , del “ non potrei più essere felice dopo un dolore così grande..”

Nei cinque giorni passati con Irina la domanda è stata: come si esce da una situazione da cui sembra impossibile uscire? Un lutto, un problema grave, un fallimento… Come si può continuare a vivere dopo una sopraffazione immensa, la più terribile, la perdita dei figli, come si fa a non pensare di essere vittime di un destino malvagio? Ecco i corsivi dove parlo di me e della mia interazione con lei».
Colpisce la solitudine di Irina di fronte a un’inchiesta piena di buchi che sembra avere indagato solo la sua colpa di aver scelto di separarsi da Mathias, mentre tutti, dalla maestra alla psicologa, sono così reticenti, poco collaborativi. Racconta Concita:
«Irina è venuta da me con una forza e una lucentezza straordinarie, senza mai lamentarsi, a parlare di una storia di solitudine. È capitato anche a me, anch’io mi sono sentita immensamente sola, tanto più ero esposta e apparentemente piena di relazioni. Sono solo 2 o 3 le persone che mi amano a prescindere. Quindi questa donna mi assomiglia, ci assomiglia. Come noi ha un’autonomia sociale, culturale, economica; più di noi, conosce 5 lingue. Eppure quando le è capitato quell’evento terribile è rimasta completamente sola. Sembra il personaggio di un romanzo russo dell’800. Disapprovazione e pregiudizi hanno pesato su di lei per il suo ruolo di donna manager, italiana, che guadagnava più del marito, viaggiava tanto e magari trascurava le bambine. Quanti sono pronti a giudicare, censurare… È capitato anche a me che ho quattro figli di sentirmi colpevole per le assenze. Così come capisco che non fosse gelosa della tata, la prima necessità è che i figli siano affettivamente protetti».

Ma la domanda aperta, drammatica è: come mai non si è accorta del pericolo?
Forse, può sembrare normale vivere accanto a un uomo così pignolo e ordinato che dissemina la casa di post-it con raccomandazioni che poi sono ordini (personalità «psicorigida», è la definizione degli esperti), in fondo quante sono le persone ossessionate dai rituali e dai calzini spaiati.
Eppure un presentimento Irina deve averlo avuto visto che, pur non avendo mai subito violenza fisica, si è rivolta a un certo punto un centro per donne maltrattate, dove le dicono: stai attenta, è una spirale. E nella lettera alla psicologa che li segue descrive minuziosamente l’ansia di controllo e tutte le manie di Mathias che davvero fanno pensare a un disturbo patologico.
Dice Concita De Gregorio:
«È il grande tema della follia/normalità. Fa comodo dire che si tratta di follia, è un modo collettivo per spostare il problema, a me non può capitare… Ma tutte camminiamo su crinali, visto da vicino nessuno è normale. Ora, è vero che il padre di Mathias aveva manie suicide, ma quanto all’ossessione dell’ordine lui era svizzero e gli svizzeri sono impeccabili, con una vita regolata dai formalismi. E poi c’è sempre la presunzione del sé grandioso di fronte al pericolo. Come nella favoletta spagnola dove un topo accetta come pretendente un gatto sostenendo che è vegetariano. E il gatto se lo mangia la prima notte di nozze».
Un’altra domanda percorre questo libro che, rivelazione dopo rivelazione, coincidenza dopo coincidenza (come la scoperta della bisnonna americana privata della figlia), ha davvero il ritmo di un thriller psicologico: come ci si sente a subire tutte queste ingiustizie? A non trovare mai ascolto anche quando stai parlando di cose vitali per te? Irina riesce a uscirne perché non si chiude dentro il suo dolore. L’amore è dentro di lei. Così quando incontra un uomo che non sa niente di lei, è pronta ad accoglierlo. Perché di dolore non muori. Ed è proprio l’amore, l’oro liquido, la colla che non nasconde le fratture, che tiene insieme i pezzi di quel vaso: così ti rimetti al mondo.
«Non ho mai chiesto ad Irina: che cosa pensi che sia successo alle bambine, ma mi sono chiesta: io che cosa farei in quella condizione? Irina non è venuta da me per trovare loro ma per trovare ascolto», conclude Concita De Gregorio.
Irina madre privata delle figlie (solo in ebraico, av shakul e em shakula, in arabo e in sanscrito esiste una parola per dirlo, non in italiano, né in inglese, né in spagnolo) ci racconta come si sopravvive all’assenza. Perché dell’assenza non ti puoi mai liberare. Perché la perdita di un figlio è «la pietra di paragone, la misura aurea del dolore». Eppure Irina ha trovato in Luis (mani lunghe, un mazzo di chiavi del suo appartamento come primo regalo e tutto quello che si vorrebbe da un uomo…)un amore nuovo, un altro amore, che non toglie niente a tutto il resto, ma «ti sente, ti tiene, ti accompagna, ti toglie lo zaino dalle spalle quando pesa troppo, nella marcia».

Pubblicato da

Luca

Luca

Station Manager The Great Complotto Radio