Paolo Fresu, Trilok Gurtu, Omar Sosa in concerto – Recensione

Un Paolo Fresu sgargiante nella sua camicia floreale e scalzo, come d’altronde i suo due coprotagonisti, inizia subito ad ondeggiare nella sua poltroncina e resiste solo pochi minuti prima di alzarsi trasportato dal vibe dei fraseggi scambiati con i suoi due compagni di viaggio. Italia, Cuba e India si fondono per una sera uniti da un’unica smisurata passione: la musica.
L’atmosfera si fa subito calda ed il numeroso pubblico, composto ad occhio principalmente da persone che masticano musica da diversi anni – intenditori di Jazz e non solo- sembra gradire ed applausi entusiastici non mancano.
Nel secondo brano – di matrice spiccatamente caribica – le percussioni di Trilok Gurtu si fanno più soffuse ad accompagnare nel modo più efficace un duetto dall’intesa ai limiti della sincronia perfetta tra la tromba di Fresu e Omar Sosa, imperioso nel suo folcloristico abito bianco lungo, che si divide meravigliosamente tra parti di puro pianoforte e suoni più moderni con organo (Fender Rhodes?) e tastiera. Un preludio che porta dritti in un sol fiato all’assolo alle percussioni di Gurtu, riecheggiante di suoni ancestrali e raffinati.
Dagli sguardi di intesa che trapelano si intuisce che i tre si stanno proprio divertendo parecchio nel suonare
assieme ed il concerto a tratti si trasforma in una sorta di sfida a chi sfodera il virtuosismo più ardito.
Le atmosfere si fanno quindi più rilassate, rarefatte, incanalate in un frangente in cui il piano di Sosa la fa da padrone e con la potente batteria di Gurtu che riempie ogni inciso a meraviglia, lasciando nello spettatore ammirato l’evidente sensazione di assistere all’esibizione di tre musicisti contemporanei tra i più grandi nei loro rispettivi strumenti – tre mostri sacri – in un evento che travalica i confini di quello che con una fuorviante semplificazione si potrebbe definire un concerto di worldmusic o etnojazz.
Ed ecco che i tre protagonisti, rotto il ghiaccio, si lasciano andare alla loro componente più ludica coinvolgendo spesso con loro anche il pubblico. Come ad esempio nella gag in cui Gurtu in un italiano stentato ma assolutamente genuino chiede a Fresu quale sia il prossimo brano e il trombettista sardo che fingendo di cercare lo spartito giusto getta i fogli in aria.
Ancora poi un coinvolgimento del pubblico da parte di Sosa e Gurtu nell’eccezionale e a tratti esilarante improvvisazione in duetto a vocalizzi e gorgheggi che varrebbe da sola il prezzo del biglietto.
Il trio si dimostra maestro nell’alternare momenti di puro divertimento ad altri, struggenti, di assoluta delicatezza; come nel caso del brano cantato da Gurtu che suona quasi come una preghiera ed in cui strumenti percussivi vengono immersi in un secchio – si, proprio un secchio pieno d’acqua – utilizzato poi come tamburo nel brano successivo, quasi a ricordare l’oceano e le enormi distanze che la musica può superare.
Acclamati a rientrare sul palco e dopo essersi già concessi con un generoso bis, probabilmente incentivati dall’entusiasmo degli astanti e dallo splendido contesto architettonico che ha fatto da cornice alla loro esibizione, non manca l’ultima mossa a sorpresa, in cui, a pubblico ormai quasi del tutto sfollato, rientrano improvvisando un secondo bis della durata complessiva di una trentina di secondi!
Il concerto che non ti aspetti e che fa tornare a casa la gente con una gradevole ed appagante sensazione di benessere dei propri padiglioni auricolari.
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