Mogwai @Alcatraz, Milano, 31 marzo 2014

Mogwai Alcatraz 2014Rave Tapes (per Rock Action/ Sub Pop, 2014), l’ultimo album dei Mogwai, ha intrapreso una via più melodica, abbandonando gli scrosci catartici di chitarre e synth che per molti sono il marchio di fabbrica della band.
Nessuna delusione in questo nuovo (o solo ultimo?) corso: le tracce non perdono in potenza sonora, quella che risulta diversa è solo l’aspettativa nell’ascolto.
Con che aspettative invece si assiste al live che la band sta portando in giro per il mondo, proponendo questo nuovo album?
“Faranno per lo più pezzi nuovi?”… “Riarrangeranno i pezzi vecchi con questo nuovo stile?”
E…. e i nostri super scozzesi profeti del post rock sanno sorprenderci ancora: suonano solo alcune delle tracce dell’ultimo album, molte le selezioni dal passato, lasciando da parte il main stream della loro produzione. Sul palco anche Luke Sutherland, scrittore e musicista che ha già lavorato con loro (CODY, per Chemikal Underground, 1999), al violino e alla voce.
La band si muove con la libertà di chi ha stile e talento e non teme di portare versioni quasi new wave o stoner del loro repertorio. Sono liberi nelle tirate progressive, nelle sospensioni post punk e si divertono a liberare le corde e i synth sulle loro cascate di suono.
Vanno ricordate anche le scenografie dello spettacolo: tre esagoni sospesi sopra la band, ripresi dalla copertina dell’ultimo album, che assecondano gli effetti di luce e i suoni. Non so se la scelta di queste figure abbia un significato per i Mogwai, ma vi posso assicurare che, sebbene si trattasse di forme iper geometriche e molto astratte, sulla suggestione dei suoni invasivi dei pezzi più potenti (in particolare “i pezzi vecchi”) e delle luci, quelle tre sembravano delle fauci di pescecane, primitive e divoranti.
I Mogwai hanno salutato il pubblico di Milano con un meraviglioso “Satan” (da Mogwai young team, etichetta Chemikal Underground, 1997).
Qui la scaletta della serata:
Heard about you
Friend of the night
Take me somewhere nice
Rano Pano
Deesh
Ex Cowboy
Mexican GP prix
White noise
I’m Jim Morrison I’m dead
How to be a werewolf
Remurdered
Batcat

I bis:
The lord is out of control
Auto rock
Mogwai fear Satan

Live – Foals @ Alcatraz Milano

FFF Finalmente.
Finalmente è successo.
Finalmente i Foals a Milano.

Dopo mesi di attesa spasmodica, in particolare mia, giovedì 24 ottobre i Foals si sono esibiti all’Alcatraz per l’unica data italiana del loro Holy Fire Tour. Inutile dire che le aspettative da parte di tutti erano enormi…e non sono state deluse.
Ma procediamo per gradi.
Milano è sempre Milano, il dannato traffico è sempre in agguato, e nonostante mi sia preso in tempo vari contrattempi mi hanno fatto arrivare all’ultimo, o meglio, non all’ultimo, ma mi hanno fatto ritardare quant’è bastato per perdermi i No Ceremony///, band eletcro-indie di Manchester, di cui peraltro tutti i presenti mi hanno detto un gran bene. Peccato.

Neanche il tempo di rilassarsi con una birra dopo la corsa fino all’Alcatraz che le luci si iniziano ad abbassare. Si comincia.
Ancora stordito dalla fretta vengo subito rapito da un suono distorto e ipnotico che esce dalle casse: è “Prelude”, traccia strumentale d’apertura di Holy Fire che fa da preludio in tutti i sensi, infatti dopo pochissimo tempo il chitarrista Jimmy Smith irrompe sul palco capeggiando il resto dei componenti.
Per ultimo Yannis Philippakis, cantante e leader della band, che scopriremo poi essere molto molto ispirato.

L’atmosfera è perfetta, il pubblico reagisce alla grande, i ragazzi di Oxford sono dannatamente carichi e l’amore è nell’aria.
Cosa si può desiderare di più.
La scaletta è un mix perfetto di perle recenti e più datate, tutte miscelate con maestria pescando da tutti e tre gli album.
“Miami”, “Olympic Airways”, “Blue Blood”, l’hit mondiale “My Number”.
Poi arriva il momento di “Spanish Sahara”, pezzo lento ed incredibilmente toccante da “Total Life Forever”, loro secondo album.
L’emozione è forte, il pubblico si zittisce inizialmente per poi iniziare a cantare la canzone in coro con Yannis, gli assoli distorti di chitarra si prolungano magnificamente per un tempo infinito, momenti bellissimi che gli stessi Foals hanno apprezzato ringraziando più volte i presenti e sottolineando la loro soddisfazione lasciandosi anche scappare un “forse dovremmo passare in Italia più spesso”. Eh Yannis. Anche si.

Ma si continua.
Yannis sembra indiavolato, si lancia sul pubblico a più riprese, improvvisa passeggiate fuori dal palco, si concede volentieri a tutti, soprattutto alle ragazze innamorate, e c’è da dire che nonostante la sua statura abbastanza ridotta possiede un ego da gigante. Bravo, completo.
In uno dei suoi giretti si avvicina anche al sottoscritto facendosi abbracciare. E così regala un sorriso ad un bimbo.
I pezzi continuavo a susseguirsi fino ad arrivare all’incredibile “Late Night” e a “Electric Bloom”, dal primo cd “Antidotes”, uno dei miei pezzi preferiti. E qui ho davvero la pelle d’oca.

Dopo la pausa ritornano sul palco carichi come prima, radono al suolo l’Alcatraz con “Inhaler”, si lasciano scappare un “questa sera ci avete fatto battere il cuore” (anche voi ragazzi. ANCHE VOI.) e poi chiudono il tutto con una versione estesa della monumentale “Two steps, twice” e tutti capiamo che, ahinoi, si è giunti alla fine.
Quasi due ore di concerto, un’energia pazzesca, una carica strepitosa, una performance che nessuno di noi dimenticherà.
C’è poco altro da dire: uno dei concerti dell’anno, un live TOTALE.
Foals…grazie.

#avolteritornano – I Cani hanno ancora qualcosa da abbaiare

i-cani Dopo “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” ed il successivo silenzio erano stati etichettati da molti come la classica meteora della musica italiana, successo effimero, mordi e fuggi, con la peculiarità che non erano usciti da uno dei tanti (troppi) talent show dello stivale, ma anzi si erano autoprodotti fuggendo e ripudiando le classiche sonorità che vanno per la maggiore nella nostra bella Italia. Apprezzabile. Molto.

D’altro canto Niccolò Contessa, mente e anima del gruppo, si era sempre distinto per un approccio quantomeno fuori dagli schemi. Memorabile la sua intervista al giornale L’Unità in cui dichiarava «Vediamo ogni giorno troppe band, troppi nomi, troppi servizi fotografici, troppe facce. Credo che il pubblico sia desensibilizzato all’immagine di band e alla rappresentazione classica di band, quindi conviene puntare su altro, ad esempio foto di cagnolini».
Dopo un paio d’anni di silenzio intervallati da qualche cover (Con un Deca-883) ieri, durante il concerto degli Editors a Milano è iniziato a girare qualche volantino che suggeriva di fare un giro nel web…e oggi cosa troviamo? Nuovo singolo per Niccolò e friends.

“Non c’è niente di twee”, pezzo alquanto basico, come nella loro tradizione, ma che al primo ascolto prende e fondamentalmente piace, testi diretti e mai banali e l’etichetta di band alternativa ben cucita sul giubbotto non li abbandona.
E questo aiuta.

Aspettando il secondo album gustiamoci quindi questa anteprima.

http://www.youtube.com/watch?v=9L6GmHCWC4g