Alia – Asteroidi

alia_asteroidiChi ha detto “non può piovere per sempre” non ha mai vissuto in provincia di Belluno. Anche oggi, come spesso succede quest’anno, sarà la pioggia ad accompagnarmi nell’ascolto di “Asteroidi”, prima creazione da solista di Alessandro Curcio in arte Alia.

Colto cantautore già leader dei Quartocapitolo, con il suo cantare quasi sussurrato, mai urlato, mette insieme una serie di canzoni che spaziano tra la canzone d’autore e le sonorità new wave e pop anni ’80, caratterizzate da una moltitudine di sintetizzatori e batterie elettroniche.

Grazie a questa sapiente fusione Alia è riuscito a creare un album scorrevole che si lascia ascoltare senza interruzioni, dalla prima all’undicesima traccia. 

Con Asteroidi ci si trova davanti ad un viaggio, un album completo che ci accompagna in tutto ciò che è stato fatto, sperimentato e amato o odiato nella musica pop italiana dagli anni ’80 fino ai primi del 2000.

L’apertura del disco è affidata a “Bouquet”, un pezzo introduttivo incorporeo e meditativo che tratta un tema ricorrente nel disco, ovvero la difficoltà di lasciare andare le persone e i ricordi. Questo brano lascia velocemente spazio, quasi a non voler disturbare, al singolo “Cats”,elogio all’intimità, un pezzo in cui è impossibile non lasciarsi prendere dal ritmo pop italiano tipico del finire degli anni ’90.

Parlando di viaggio si respira aria brasiliana nella samba di “Goldie Hawn”, una calda e inaspettata Bossa nova che va a dissociarsi dalle melodie sintetiche dominanti nell’album. L’elettronica torna, invece, protagonista nelle tracce “Case di ringhiera” “Asteroidi”, nelle quali ritroviamo il tema della nostalgia così caro all’autore.

Asteroidi” è un disco sicuramente riuscito, uno sguardo rivolto al passato ma con un passo veloce, molto moderno. Un insieme di corpi celesti composti da pop e armonie del miglior cantautorato colto e impegnato.

Alia sfonda come un asteroide (concedetemela) la porta principale per il suo ingresso nel panorama musicale italiano.

Lucaspo

https://www.youtube.com/watch?v=IajiQBgfjxM

Davide Tosches – “Luci Della Città Distante”

Davide_Tosches_Luci_Della_Citta_Distante_Cover

(Controrecords, 2014)

“Luci Della Città Distante” è un disco concettuale, intenso, potente e allo stesso tempo minimale. Appartiene a quella categoria di album che meritano un ascolto dedicato in una dimensione personale e intima, magari con le cuffie e preferibilmente al buio.

Il terzo lavoro di studio di Davide Tosches, co-prodotto da Giancarlo Onorato per la Controrecords dello stesso Tosches, è un’istantanea in chiaroscuro di uno scenario quasi apocalittico e deumanizzato con al centro una Natura sopita e meravigliosa.

Difficile scomporre questo disco in una semplice successione di nove canzoni, “Luci della città distante” si presenta in effetti come un autentico “concept album”, un unico piano sequenza che ritrae elementi di un paesaggio campestre dove assieme ad un senso di quiete ed equilibrio emerge inquieto il vuoto lasciato dall’uomo. Musica e testi sono scarnificati, la produzione è essenziale ma molto curata e vede dietro il lavoro di una nutrita schiera di musicisti: partecipano agli arrangiamenti il contrabbasso di Federico Marchesano , la tromba e il flicorno di Ramon Moro, gli archi di Catherine Graindorge, le percussioni di Vito Miccolis, le chitarre elettrificate di Hugo Race, l’organo e il piano Wurlitzer di Massimo Rumiano. Una piccola orchestra che incornicia il procedere lento e per moti circolari di melodie apparentemente monocorde guidate dalla voce e dalla chitarra acustica del cantautore torinese; melodie capaci anche di costruirsi attorno a silenzi che arricchiscono il disco di atmosfere bucoliche sospese e lievi.

Man mano che si addentra nell’ascolto la civiltà urbana si scompone, sfuma per sottrazione e si lascia dietro solo scheletri di edifici, echi di sirene e fievoli barlumi di luci, come gli ultimi ruderi abbandonati di un mondo in via di estinzione. Tosches non si concede a facili retoriche ecologiste ma con semplicità restituisce ad un’esistenza non più compressa dalle quotidiane vicissitudini umane, i tempi primordiali del succedersi di giorno e notte, estate e inverno, vita e morte.

Un disco difficile e ambizioso che non si presta ad ascolti fugaci mentre si è indaffarati a fare altro, ma che regala all’ascoltatore più appassionato e paziente una decadente malinconia che si appiccica al cuore.

Voto: 8/10

https://www.youtube.com/watch?v=xJB0gxxTnHI