Einstűrzende Neubauten Alles in Allem

Quando ci si imbatte in un nuovo lavoro discografico di una band o di un artista con alle spalle una carriera decisamente longeva, personalmente, mi trovo sempre in difficoltà. La difficoltà è quella i non sapere mai se l’“analisi” sul nuovo lavoro debba essere fatta tenendo insieme (anche in modo deciso) tutta la discografia e tutto il percorso dell’artista in questione. Pur rendendomi conto che sto ascoltando il disco nuovo è difficile che la mente non viaggi nel tempo, che non faccia paragoni, che si limiti cioè al puro ascolto.

Nello specifico poi in questo caso parliamo di 40 (già) anni di carriera, perché gli Einstűrzende Neubauten cominciano la loro storia nel 1980 in una Berlino ovest in piena guerra fredda, generazione “figlia” della seconda guerra mondiale e “genitore” di quella Germania post abbattimento del muro.

Su cosa potesse significare fare musica a Berlino negli anni ’80, pensando al punk, alla new wave, alla situazione politica nel mondo, a quella tedesca, a Berlino intesa come realtà sociale decisamente “insolita” meriterebbe un capitolo intero nella grande enciclopedia della musica.

Sui primi Einstűrzende, per chi non li conoscesse, mi limito a dire che nei loro primi lavori l’utilizzo di strumentazione “non convenzionale” era una peculiarità dominante: martelli pneumatici, trapani, percussioni create da oggetti come lamiere e tubi. Tutto questo non era assolutamente una scelta estetica, ma il tentativo di ridurre a zero la distanza tra cultura e società. Portare nei live e nei dischi suoni “quotidiani” della città, di quella città in cui vivevano e che vedevano quotidianamente trasformarsi.

Nel corso degli anni quel tipo di approccio ha subito moltissimi cambiamenti ed evoluzioni, in un percorso naturale che non poteva non tenere conto di come la società tedesca/berlinese stesse cambiando e di come una globalizzazione culturale ed economica rendesse necessaria una “dilatazione sonora”.

In sintesi sono 2, a mio parere, gli elementi significativi di questo processo di cambiamento: la progressiva eliminazione proprio di quegli “oggetti sonori” così brutali di cui sopra (sostituiti d più “raffinate” strutture percussive e sonore modellate ad uso e consumo della band) e, secondo elemento, una ricerca della “forma canzone” più conforme ad una visione “classica”.

Berlino smette di essere una metropoli in cui l’urbanizzazione è un dogma, la riunificazione crea nuovi spazi, nuove possibilità architettoniche e strutturali. Questa nuova consapevolezza di sé, anche agli occhi del mondo, si riflette nella musica della band tedesca.

 

Le atmosfere si fanno più rarefatte. Gli spigoli lasciano spesso il posto a curve. Tutto risulta più fluido, unica costante la voce. Lapidaria. Secca. Intensa: Blixa Bargeld infatti non corre certo il rischio di non essere riconoscibile non appena inizi a cantare (anche se a volte il concetto di cantare è troppo limitativo).

 

Spazi e suoni che dunque si dilatano, si allungano fino a risultare, a volte, infiniti. Un tappeto sonoro sul quale le ritmiche però non smettono mai di incedere ed incidere.

Ed eccoci qui, ad oggi, al quattordicesimo album in studio (a 6 anni di distanza dal precedente lavoro, Lament), Alles in Allem compare in piena pandemia, nei silenzi assordanti delle quarantene e dei lockdown di tutto il mondo.

L’album si sviluppa in un percorso di 10 tracce che rispecchiano perfettamente dove avevamo lasciato la band berlinese. Meno violenta forse, più riflessiva probabilmente, ma sempre capace di non lasciare impassibili.

Non lasciano impassibili gli arrangiamenti che oramai non sembrano più voler stupire o eccedere, come se la misura fosse la nuova trasgressione. Le bassline tonde e dense cavalcano le ritmiche mai banali, mai scontate, mai prevedibili.

Fare rumore non è più una necessità, tantomeno seducente…d’altronde già a inizio millennio il cambio di rotta era ben presente nel titolo di un loro album: Silence is sexy, anche se un brano come Zivilisatorisches Missgeschick rievoca antichi “fastidi uditivi”, subito però sostituiti dagli archi avvolgenti di Taschen.

La title track Alles in allem (tradotto è “tutto sommato”, decisamente più sarcastico di un “andrà tutto bene”)  una tipica ballata romantica di questi Einstűrzende dal ritornello (“Tutto sommato /Tutto allo stesso tempo /Tutto in una volta / Tutto in una volta”) che difficilmente non si presta ad una lettura in chiave pandemica. Chiude l’album Tempelhof, un violoncello ed un’arpa accompagnano l’uscita di scena di Blixa e soci; un nuovo capitolo, anzi un nuovo tomo si chiude con la certezza di non sapere affatto cosa accadrà dopo, se mai ci sarà un dopo, o se già questo non rappresenta il loro dopo.

Tutto sembra così diverso, ma qui si torna alla premessa con cui ho volutamente iniziato. Senza l’ascolto della discografia degli Einstűrzende non sarebbe possibile cogliere il percorso, il viaggio attraverso a storia che la band ha fatto. Il corto circuito sonoro risulterebbe irrisolvibile, ma non c’è corto circuito, non c’è un cambio di rotta…c’è il semplice spostarsi, anzi il farsi spostare dagli accadimenti senza esserne però spettatore passivo.

Negli Einstűrzende l’impressione che uomo ed artista siano davvero perfettamente aderenti l’uno all’altro e che il percorso di vita sia speculare a quello musicale e viceversa.