Live – Architects + guests @ New Age Club (5.11.2016)

 

Il tempo di Treviso, Sabato 5 Novembre, non è dei migliori; la pioggia cade copiosa, ma non scoraggia gli avventori del concerto che puntuali si presentano al New Age.
Da subito il locale appare gremito, ma fortunatamente vivibile.
La serata prende avvio con il live dei Bury Tomorrow, band di Southampton capitanata da Daniel Winter-Bates, che avevo già avuto il piacere di ascoltare nel lontano 2010.
La scaletta è breve, ma intensa. Sei pezzi tra i più famosi della band, ma nessuno proveniente dal primo album Portraits (sad Ross).
I ragazzi erano già bravi la prima volta che li ascoltai, ma l’esperienza in questo campo è una grande alleata: bei suoni, grazie anche all’ ottimo mixaggio del set, tanto cuore, espressività e tecnica che non guasta mai. La voce pulita è chiaramente udibile e non relegata nel background come spesso capita ed è un piacere ascoltarla, lo scream/growl è potente e contemporaneamente morbido e a tratti quasi dolce. Avere l’occasione di sentire live una band, diversi anni dopo averla ascoltata la prima volta, e constatarne un progresso enorme è sempre una grande soddisfazione.

La serata prosegue con gli americani Stick to Your Guns provenienti direttamente da Orange County in California. Da subito mi scatta il ludro perchè il mixaggio fa pena: la cassa della batteria praticamente non si sente, come la voce pulita e quindi, purtroppo, non mi godo a dovere il loro set anche se è innegabile siano molto bravi e coinvolgenti.

Infine, ecco arrivare gli Architects. Una sola parola può descrivere questa band: IMMENSI.
La prematura scomparsa di Tom non li ha fermati dal proseguire il tour, anzi Dan, il gemello di Tom, subito dopo la sua scomparsa ha dichiarato che avrebbero proseguito per rendergli omaggio, ma non nascondo di averli trovati particolarmente provati e in un certo senso spenti, ma sono perfettamente giustificati.

Il concerto è assolutamente magnifico, setlist ben organizzata e pubblico partecipe.
Il momento più commovente arriva al termine del set quando Sam Carter parla al pubblico e cala un silenzio assurdo, seguito da un coro che urla il nome di Tom, per poi concludere con “Gone with the wind” nella quale Sam, probabilmente, ci lascia un polmone pur di farla arrivare più in altro possibile.

Inutile dirvi che gli Architects sono ineccepibili, la loro bravura è ormai assodata da anni di carriera e di live, nonostante la tragedia che li ha colpiti hanno avuto la forza di andare avanti e mi chiedo quale altra band l’avrebbe fatto così nell’immediato.

Architects + guests – 5 Novembre 2016 @ New Age Club (TV)

architects
Dopo la prematura e tragica scomparsa di Tom Searle, tutti si sarebbero aspettati l’annullamento del tour da parte degli Architects.
Al contrario, con grande coraggio e forza d’animo, la band di Sheffield ha annunciato che questo triste evento non avrebbe portato alla cancellazione delle loro imminenti date, ma anzi sarebbe stata l’occasione per celebrare la vita di Tom.
Dopo questa necessaria introduzione, sono felice di annunciare che gli Architects saranno i protagonisti di una data al New Age Club il 5 Novembre per presentare il loro nuovo album “All our Gods have abandoned us”.
Come da consuetudine, sono sicura che il loro show sarà ricco di emozioni ed energia.
Vi aspetto tutti, per supportare come non mai i nostri beniamini!

5 NOVEMBRE 2016 – NEW AGE CLUB (RONCADE-TV)
Biglietti: 25€.

The Vaccines – 11 Marzo @ New Age

The Vaccines tornano in Italia per il tour dell’ultimo album “English Graffiti”, uscito a maggio dell’anno scorso.
La band indie rock inglese ha esordito nel 2011 con “What did you expect from The Vaccines”, album vincitore di un NME, al quale è seguito “Come of age” con cui hanno raggiunto i vertici delle classifiche inglesi.
Due le date italiane: venerdì 11 marzo al New Age di Roncade (TV) e sabato 12 marzo al Fabrique di Milano.

the vaccines english graffiti

Live – Architects + guests @New Age Club (21.02.2015)

Architects-Promo

Il New Age è gremito, credo sull’orlo del sold out: calca, caldo, odori venefici. Passa tutto in secondo piano nello stesso momento in cui la prima band inizia ad esibirsi.

Counterparts: band canadese formatasi nel 2007 della quale conoscevo solo il nome. Il loro melodic hardcore (così viene definito, ma non sono molto d’accordo con la categorizzazione) è alquanto piacevole e come opening act è decisamente azzeccato poiché è sì carico, ma contemporaneamente non troppo pestato, in modo tale da preparare gradualmente i timpani fino all’arrivo degli headliner.

Il secondo gruppo ad esibirsi sono i Bless the Fall, beneficiari indebiti del grande successo del tour perché fondamentalmente avulsi dal resto delle band della serata.

Immaginatevi la mia faccia quando vedo spuntare questi ragazzetti che sembrano provenire direttamente dal 2006 e dai tempi d’oro dei ciuffoni copri faccia. Tuttavia, fosse stata solo una questione di look, sarei passata oltre nel giro di tre secondi, invece, purtroppo, il cantante in pulito non becca una nota intonata e lo scream, quando sporadicamente tenta di produrne uno visto che poi è il bassista che se ne occupa, è meglio lo eviti a piè pari perché è proprio incapace. Gli altri componenti non sono malissimo, ma sono eclissati dall’incompetenza di Beau Bokan.
Rimpiango amaramente Craig Mabbitt.

Arriva il momento degli Every Time I Die, il quintetto di Buffalo che ero impazienterrima di ascoltare. Peccato che alla terza canzone i miei timpani stessero chiedendo pietà a causa del mixaggio pessimo: è proprio questo elemento che inficia il mio parere sulla performance della band.

Faccio una piccola precisazione: magari sono io troppo pretenziosa e abituata bene, ma se sento un mixaggio fatto male nel quale si percepisce solo un rumore fastidioso senza alcuna distinzione tra gli strumenti, ritengo impossibile godermi lo show della band in questione e specialmente capire cosa stiano facendo e come.

Mi dispiace non poter dire altro al riguardo; sono fermamente convinta che gli Every Time I Die siano una band molto capace e gli riconosco l’abilità di saper coinvolgere il pubblico, ma mi riservo di ascoltarli un’altra volta.

Infine ecco gli headliner della serata: gli Architects.
Dopo i primi pezzi c’è solo una domanda retorica che mi gira in testa: “Tecnica ne abbiamo?”.

Sono rimasta sconvolta dalla bravura di questa band che seguo dall’alba dei tempi, ma che non avevo mai avuto l’occasione di sentire live.

Sam Carter regge più di un’ora di set senza perdere un colpo e i suoi colleghi sono ineccepibili, anche se un po’ statici. Ogni pezzo è come un pugno nel diaframma: ti fa rimanere senza fiato e spiazzato.
La scaletta è composta dall’ultimo album della band inglese “Lost Forever // Lost Together” (si, tutto intero) , un brano proveniente da “Hollow Crown (il loro album più rappresentativo, e per quanto mi riguarda il mio preferito) e da qualche altro pezzo estrapolato dagli altri lavori in studio sotto la Century Media.

Già pronta a gustare “Hollow Crown” come conclusione del concerto e congedo della band, rimango invece come una calamara perché non la suonano proprio.

Nonostante ciò, gli Architects mi hanno rubato il cuore.

Live – Bring Me The Horizon + guests @ New Age Club 23.11.2013

23 Novembre 2013, New Age Club, Roncade, Treviso.

La nostra avventura inizia alle ore 20.15 circa, quando arrivati al New Age vediamo copiosa la gente appostata all’entrata che attende l’apertura delle porte.
Il concerto è sold out, e nonostante tutto c’è qualche coraggioso, visto il tempo piovoso, che pur di partecipare si è precipitato fuori dal locale nella disperata ricerca di un biglietto.

L’opening act di questo evento è ad opera dei Sights and Sounds, gruppo canadese del quale non ero a conoscenza e, alla luce di ciò, ero curiosa di ascoltare.

I primi due brani denotano bravura e un sound caratterizzato da vocali lunghe e accordi a momenti dissonanti e a momenti sostenitori dei vocalizzi.

Ora, permettetemi di dire che la pecca di questo gruppo è la monotonia. Per i tre quarti d’ora in cui hanno suonato mi è sembrato di sentire reiterata la stessa canzone: gli accordi di base sono piuttosto simili (o per meglio dire uguali?), una vocale predomina rispetto all’intero testo, e la ritmica è rassomigliante in ogni brano che hanno proposto.

Secondo Giulian, che dichiara di essersi svegliato solo dopo la conclusione dell’esibizione dei Sights and Sounds, infastidito dagli applausi, il gruppo sembrava una brutta copia dei Deftones quando suonano male.

Insomma, diciamo che le aspettative al riguardo sono state brutalmente rovesciate.

Pierce the Veil: per molti la sorpresa della serata.

Dal metro e mezzo di Vic Fuentes escono note pulite e intonate, gli strumenti gli stanno dietro a meraviglia e l’energia che si respira sul palco è febbrile e contagiosa.

Lasciano per ultimi due dei loro pezzi più famosi, Caraphernelia e King for a Day, ai quali il pubblico reagisce con maggiore entusiasmo rispetto al resto dei brani, sconosciuti ai più.

Dopo una breve pausa per sistemare il palco al meglio, il momento topico è giunto.

Si spengono le luci, un boato esplode, i Bring Me The Horizon escono allo scoperto: la folla in delirio sembra abbia visto la luce del paradiso tra espressioni incredule ed urli vicini agli ultrasuoni.

Lo show inizia.

La potenza strumentale di questo gruppo è qualcosa di squisitamente afrodisiaco; tutto sta al suo posto perfettamente e il cambiamento di formazione (l’arrivo di un tastierista/effettista a tempo pieno al posto di una chitarra) ha giovato enormemente alle esibizioni live. A livello musicale sono ineccepibili.

Lo stile della band negli anni ha subito un’evoluzione pazzesca, è stato come vedere un bambino imparare a camminare e poi a correre perchè, nulla togliendo ai primi due album (Count your blessings e Suicide Season), è negli ultimi due dischi (The is a hell belive I’ve seen it, there is a heaven let’s keep it a secret e sempiternal) che i Bring hanno trovato una dimensione ideale, specialmente Oliver, il cantante, che è riuscito a scoprire uno scream più leggero, quasi sussurrato, nel quale riesce ad avere maggiore controllo delle proprie capacità senza flagellare le sue povere corde vocali.

Nonostante questo c’è un ma: “bla bla bla complimenti” (funge da riassunto di ciò che ho precedentemente detto), MA appena Oliver esce dal suo scream sussurrato, sparisce, inghiottito dall’accompagnamento. È inutile star qui a raccontarcela perché purtroppo brani come Diamonds aren’t forever e Chelsea smile li ha fatti con il culo, anzi per metà li ha fatti cantare al pubblico e per metà sembrava lo stessero sgozzando.

Il giudizio complessivo, comunque, sfiora l’eccellenza.
Il pubblico partecipa spontaneamente e canta i cori di brani come Sempiternal e Go to hell, for heaven’s sake, con passione e una certa dose di sentimento, come se le parole fossero scritte apposta per loro.

Dopo un primo ending, il gruppo sostenuto da incitamenti a fare “one more song” torna sul palco per concludere la serata con un encore di due brani.

Dopodichè i Bring me the horizon svaniscono nel backstage e la gente comincia a disperdersi, in cerca di un respiro d’aria fresca e di sollievo dalla canicola sudorifera.

Scaletta:

  1. Can You Feel My Heart
  2. Shadow Moses
  3. Diamonds Aren’t Forever
  4. The House of Wolves
  5. Go to Hell, for Heaven’s Sake
  6. And the Snakes Start to Sing
  7. Empire (Let Them Sing)
  8. It Never Ends
  9. Deathbeds
  10. Chelsea Smile
  11. Antivist

Encore:
12. Blessed with a Curse
13. Sleepwalking

Testament Live @ New Age Club – Roncade

Testament LiveSono curioso di sapere le condizioni del New Age club quest’oggi, visto l’inferno di ieri sera creato dal quintetto di Oakland sul piccolo stage del club trevigiano.
18 giugno 1967, Jimi Hendrix incendia la sua Fender Stratocaster sul palco di Monterey festival, procurandosi un’ustione di primo grado;
18 giugno 2013 ore 22, i Testament salgono sul palco preceduti dall’intro di Star Sprangled Banner eseguto proprio da Hendrix.
Il concerto inizia sulle note di Rise Up, brano dell’ultimo album The Dark Roots Of Earth del 2012, una mitragliata al cervello che non accetta repliche ne sconti, seguita senza un secondo di sosta dall’ottima More Than Meets The Eye, sorretta da un pubblico in delirio dal primo all’ultimo secondo di concerto, ben animato dal quasi cinquantenne Alex Scolnick, e dal frontman bestione Chuck Billy.
Dopo un po’ la prima mezz’ora, un imprevisto al sellino della batteria di Gene “atomic clock” Hoglan lo costringe a dare il meglio di sè e suonare in piedi senza perdere un colpo. Hoglan è sicuramente uno dei batteristi più storici del metal, nella cui carriera può vantare di aver registrato e interpretato live, due album degli inventori del death metal, Individual Thought Pattern(1993) e Symbolic (1995) con i Death del compianto Chuck Schuldiner.
I n0n più giovani thrasher californiani regalano solo 11 pezzi agli accaldatissimi fan italiani, un ora di concerto esatta senza concedere bis e accorciando di 3 pezzi la scaletta dele date precedenti, a quanto pare a causa del caldo all’interno del club, essendo poi rincorsi dalla sfortuna di non poter utilizzare il proprio tour bus a causa di un guasto all’impianto di condizinamento dell’aria, facendosi trasportare quindi in albergo con un pulmino privato, non concedendo così foto e autografi ai numerosi fan accorsi d’innanzi il bestione a 4 ruote che doveva riaccompagnarli a casa.
Una bella serata anche se durata troppo poco.

Voto: 7,5

Scaletta:
1.Rise Up
2.More than meets the eye
3.Native Blood
4.True American Hate
5.Dark Roots Of Earth
6.Into the Pit
7.Practice what you preach
8.The new order
9.The haunting
10.Over the Wall
11D.N.R. (do not resuscitate)

Live – Paletti @ New Age Club

recensioni-palettiBasico, informale, diretto.
Quando i giri di parole non servono.

Sabato 6 aprile Pietro Paletti aka Paletti e basta si è esibito al New Age Club di Roncade (TV) durante la piacevole Indie Night presentando sul palco un artista totalmente diverso da quello che avevo ammirato ed apprezzato tre anni fa come bassista dei “The R’s”.

Già il suo primo EP (“Dominus”, ndr), risalente all’anno scorso, aveva ben impressionato pubblico e critica facendo parecchio parlare di sè, ora, con il nuovo lavoro “Ergo Sum”, Paletti si impone e soprattutto viene riconosciuto come una delle realtà underground più belle e promettenti dello stivale.

L’inizio è un po’ in sordina: sul palco lui assieme ad altri tre musicisti, il locale è abbastanza popolato, ma non come mi ha abituato in altre occasioni; poco male mi dico, meno tempo speso a spingersi e sgomitare per accaparrarsi una vitale boccata d’aria. La seconda nota positiva di cui mi accorgo quasi subito è come nel giro di pochi minuti tutti i presenti siano assolutamente attenti e ben concentrati sulla performance, non c’è chi gironzola o si accalca freneticamente al bar, ci sono persone che vogliono ascoltare del buon cantautorato. Così si che mi piace.

Il concerto procede liscio, piacevole, i testi sono brillanti e le melodie davvero orecchiabili, Paletti scambia quattro chiacchiere con il pubblico toccando argomenti cari a tutti come (ahinoi) l’odierna situazione politica italiana, ma anche riflessioni e pensieri più strettamente intimi e personali; toccante soprattutto il racconto del rapporto conflittuale con il padre che una disgrazia ha poi fatto migliorare.
Il bresciano ci sa fare sul palco: fa sentire la sua presenza, la parlantina è simpatica e fluente, coinvolge con le sue chiacchierate e soprattutto con la musica d’impatto; passa infatti in rassegna tutto il suo repertorio, senza ripetersi, senza annoiare e giustamente enfatizzando i suoi pezzi più orecchiabili e trascinanti come “Adriana” e “Cambiamento”. E c’è chi balla.

Il tutto si conclude tra gli applausi, applausi meritati per chi, a parer mio, sta cercando di cambiare il volto del pop italiano, di farlo maturare concettualmente e stilisticamente, di riportarlo ai livelli di eccellenza che, nello stretto caso italiano, ha avuto solo nel panorama di molti, molti, direi troppi anni fa.

La serata procede, la musica si alza, la gente balla.
Io mi adeguo, un po’ più rincuorato sulle sorti future dell’italica pop music.