Bombino “Nomad tour” @ Centro Candiani, Mestre (VE) – 06.06.2014

Bombino_Candiani

Attesissimo concerto di uno degli artisti più caldi del momento, non a caso i biglietti erano già esauriti da una settimana.

Bizzarra la scelta della location, il Candiani offre un auditorium con spalti laterali e conseguente vista laterale del concerto e band che suona non davanti al pubblico, bensì di fronte alla parete della sala. In aggiunta a questo, il divieto di alzarsi dai posti per scendere fronte palco a vedere il concerto e ballare.

Fatte queste doverose premesse, alle 21.15 circa inizia il concerto. La prima parte è in versione acustica, con Goumour Almoctar aka Bombino alla chitarra acustica e voce, Avi Salloway allo djembe, Youba Dia al basso (personalizzato con la forma della Mauritania, suo paese d’origine) e Corey Wilhelm al calabash.

Dopo 4 canzoni di riscaldamento i 4 abbandonano le sedie e si alzano in piedi per continuare la loro cavalcata sonora intrisa di blues e desert-rock.

Canzone dopo canzone, la poltroncina sulla quale si è seduti inizia a stare un po’ stretta, c’è voglia di alzarsi e dimenarsi al ritmo che rimbomba per tutta la sala scuotendo mente e corpo.

Il batterista Corey Wilhelm va dritto per la sua strada, suono concreto, animale e travolgente, Youba Dia accarezza il suo basso come in uno stato d’estasi, Avi Salloway, ora passato alla chitarra, è il più chiacchierone e intrattiene saltuariamente brevi scambi con il pubblico. Bombino è un personaggio umile e con una personalità forte, non si scompone per tutto il concerto, sorride e ringrazia in francese il pubblico tra un pezzo e l’altro, sembra quasi intimidito dagli scroscianti applausi meritatissimi.

Il concerto è terminato verso le 22.30 dopo il bis richiesto all’unisono da tutti i presenti che non paghi hanno continuato ad applaudire e incitare il gruppo a uscire per la terza volta, ma purtroppo il tris non è stato concesso e forse non sarebbe in ogni caso bastato.

L’ora abbondante di concerto è stata un’esperienza magica, assolutamente da ripetere, magari questa volta guardando i musicisti frontalmente, in piedi e con la possibilità di lasciare andare il proprio corpo a oscillazioni mistiche.

Il Nomad tour continua in Italia fino a metà agosto, un consiglio spassionato: viverlo!

Chinasky – Third Untitled album

chinasky-third-untitled-albumEsce a fine 2012 il terzo album senza titolo dei Chinasky (“Third untitled album”), una band che distribuisce musica english/’60/garage/psychedelic rock dall’estremo nord est, per la luminosa etichetta Garage Records.
L’ascolto è ballereccio e questo lavoro ha energia fresca, sebbene la band sia già sulle corde e sui palchi da diversi anni, più di una decina.
Le tracce sono divertenti e irrevenrenti (Supercalifragilisticsong; Sex, oil & drugs), l’atmosfera inesorabilemnte ’60, talvolta cinematografica alla Delta V (Seba song) e la voce di Katya Scarpulla fa pensare a Nina Peerson dei super pop Cardigans.
Non dovete aspettarvi un cd di sperimentatori: i Chinasky non mi danno l’idea di voler esplorare nuovi sentieri musicali, ma producono il rock che amano con il cuore e con bravura.
“In the air” ha un ispirazione psichelica ben costruita e per niente polverosa. I cori così retrò di “Terence” non risultano spocchiosi poiché il brano, brevissimo, ha giusto il tempo di portarci la mente in un cestello della lavatrice, lavaggio delicato e pieno di bolle, prima ancora di poter pensare ai mille riferimenti di canzoni simili.
Sincero spirito electro garage, fa bene alla salute!

Qui il link alla pagina dei Chinasky sul portale di Garage Records, dove potrete sentire in streaming l’intero album http://www.garagerecords.it/artisti/chinasky/

14.02.14 THE FUNERAL SUITS + #WAT PARTY w/RUCKUS CREW ∆ @ APARTAMENTO HOFFMAN

FUNERALSan Valentino all’insegna della grande musica quest’anno all’Appartamento Hoffman.

Venerdì 14 febbraio infatti sul palco del carinissimo locale di Conegliano si esibiranno i The Funeral Suits, gruppo indie rock irlandese formatosi nel 2009 e che dal 2012, anno di uscita di “Lily of the Vally”, loro prima fatica discografica, non si è più fermato.
La loro è una melodiosa unione di elettronica ed indie rock, caratterizzata da suoni malinconici, ma al tempo stesso molto potenti.

A seguire l’Appartamento Hoffman inaugurerà la nuova serata #WAT, musica indipendente da ballare for free, ingresso gratuito e pezzi ricercati che metteranno a dura prova le rotule di tutti i presenti.
Al #WAT opening party il djset sarà affidato a J. Hoffman, padrone di casa e a quei tre scapestrati della Ruckus Crew ∆ : la buona musica è assicurata.
E’ attesa una grande partecipazione del movimento indie & hipster della zona e non solo.

Per info e news:
https://www.facebook.com/events/1459295047616990/?fref=ts

http://www.youtube.com/watch?v=5j4l_NdkYMQ

Live – Albert Hammond Jr. @ Covo Club Bologna

aj2 Sabato 14 dicembre me la sono spassata al Covo, club underground di Bologna, nonché uno dei locali italiani che preferisco in assoluto.

E sul palco c’era Albert Hammond Jr., mica uno qualsiasi.
Già.
Albert Hammond Jr. ovvero il figlio di Albert Hammond, cantautore inglese anni ’60 di discreto successo (sua la nota “It never rains in southern California”, ndr), ma soprattutto chitarrista dei The Strokes assieme al talentuoso Nick Valensi.
Albert dei due, benché sia comunque un chitarrista coi fiocchi, non è di certo il più dotato tecnicamente, ma invece ha avuto delle gran belle intuizioni come solista, rilasciando due album e un EP, “AHJ”, uscito l’8 ottobre di quest’anno.
Chiariamo: a parer mio il genere, i suoni, alcuni riff ricordano quelli ideati dal frontman/genio dei The Strokes Julian Casablancas, ma nonostante questo denotano una maggior dolcezza, anche nei testi, e questo mi piace molto.
Albert insomma è un ragazzo che apprezzo davvero tanto e ciò, unito alla mia assoluta venerazione nei confronti dei The Strokes, mi imponeva di presenziare alla terza data del suo minitour italiano che si svolgeva nella capitale felsinea.

Il concerto inizia intorno alle 23, in un Covo strapieno, con un clima caraibico e un’inaspettata terza fila nonostante fossi arrivato in ritardo (così, tanto per cambiare).
Sul palco, oltre a Hammond con la sua fedele Stratocaster bianca, ci sono altri due chitarristi, un basso e una batteria confinata nelle retrovie: d’altronde lo spazio del palco del Covo è quello che è, si sa.
Mi colpiscono subito le tre chitarre: che potenza di fuoco! Ci piace!
Si inizia alla grande con due dei miei pezzi preferiti, “Everyone gets a Star” e “Scared”, direttamente dal primo album solista “Yours to Keep” per poi proseguire con roba nuova nuova come la bellissima “St. Justice” dell’ultimo EP, “AHJ” appunto, e con altre chicche come ad esempio “GfC”, dal secondo “‪¿‬Còmo te LLama‪?‬” del 2008.

E’ un incalzare di riff di chitarra straordinari, con musicisti, specialmente i chitarristi, che si esibiscono in finissimi virtuosismi e con un pubblico che si dimostra sempre caldo e coinvolto.
Albert è in gran forma e molto ispirato: i problemi (innumerevoli) con le droghe sono ormai cosa passata, e scusate se non è così scontato da parte di uno che si iniettava mix di eroina, cocaina e ketamina fino a 20 volte al giorno e che ha vissuto un periodo discretamente lungo vagabondando da una clinica all’altra (lo ammette molto candidamente e, oramai, con una certa consapevolezza lui stesso nelle interviste, altrimenti non vi riferirei mai nulla del genere su nessuno, figuratevi se su uno degli Strokes, ndr).
Lui, in barba alle malelingue, è lucido e indiavolato con la sua Stratocaster in mano, il gruppo risponde altrettanto bene e il culmine del godimento (per me soprattutto) arriva con “101”, sempre da “Yours to Keep”, pezzo semplicemente straordinario e che per me vale da solo l’intero prezzo del biglietto.

Un’ora e mezza di puro godimento, di musica di altissimo livello, di botta e risposta scherzosi con il pubblico, per poi salutare teneramente e abbandonare il palco scortato dai bodyguard in mezzo alle persone adoranti, conscio di aver regalato tanta emozione, soprattutto a me.
Questo è stato sabato 14 dicembre al Covo Club di Bologna.
Questo è stato Albert Hammond Jr.

Rock en Seine 2013 festival report

live - Rock en SeineMettendo insieme gli abitanti del comune di Pordenone con quelli di Gorizia non si raggiungono nemmeno le 78mila anime. Dal 23 al 25 agosto, in circa un kilometro quadrato, il festival Rock en Seine ha radunato nella periferia di Parigi 118mila persone. Nonostante ciò, è ancora nella categoria dei piccoli festival musicali europei, perché mentre in Italia ormai è diventato un sogno chiamare a raccolta le decine, in paesi come Ungheria e Belgio si parla di centinaia di migliaia di persone che si muovono, comprano e spendono soldi ed energie in territori che ormai possono sostenersi principalmente con queste attività.

Il Rock en Seine rimane una certezza per chi vuole godersi un festival ma allo stesso tempo farsi una bella vacanza, situato in uno dei parchi più grandi e belli d’Europa (il festival si svolge solo in una ben piccola parte di esso) è inoltre alle porte di Parigi, della quale si può facilmente raggiungere il cuore con la linea 10 della metro che al capolinea Boulogne Pont de St-Cloud ti fa immergere in un mondo spettacolare, quasi magico, fatto di palchi (4), giostre, musica e colori. Quest’anno la zona camping è stata spostata un po’ più distante rispetto alla zona concerti, ma nonostante la fatica della strada (in una salita ripida come poche tra l’altro) rendesse tutti sempre nervosi, all’arrivo si faceva davvero fatica a non rimanere incantati dalla visuale che quella collina donava su Parigi. Forse uno dei punti più incantevoli di tutta la capitale, che con quella salita sembrava quasi di conquistarla. Raggiunto quel punto panoramico del campeggio quasi veniva voglia di non lasciarlo mai, ma quando la musica iniziava a pulsare da sotto la collina e la ruota panoramica roteava i suoi seggiolini, il richiamo era davvero irresistibile.

Allora sotto il primo giorno con Belle And Sebastian, Tame Impala, Alt-J, Johnny Marr, Franz Ferdinand e altri gruppi che fondamentalmente non esistono (avete mai avuto questa impressione quando leggete i nomi delle band più in piccolo del copyright della stamperia nei manifesti dei festival?). Oltre a questi gruppi, che ribadisco essere inesistenti, Rock en Seine propone anche diversi progetti paralleli, solisti, alternativi, elettronici, hip-hop, collaudatisti, metal-meccanici di amici degli amici che hanno fatto parte dei Klaxons o simili. Nel festival ci sono stand ed intrattenimenti di ogni tipo, che vengono sfruttati soprattutto nei momenti un po’ più deboli della line-up.

La sera del primo giorno c’è da scegliere tra i suoni elettronici dal vivo dei !!! (Chk Chk Chk) o la club house berlinese spinta in consolle da Paul Kalkbrenner. Stranamente il pomeriggio del giorno dopo suona anche un certo Fritz Kalkbrenner, che è il classico fratello minore bravo ma sfortunato nell’avere davanti a lui uno dei più grandi clubber di tutti i tempi. La serata finisce e chi ha il pass per il campeggio deve rifare LA salita, solo i migliori ce la fanno, superstiti con grande forza di volontà. Alcuni alzano bandiera bianca e si fermano e metà strada lasciando le tende a solo scopo refrigerativo per le bottiglie che avrebbero usato il giorno dopo.

Il secondo giorno è forse quello un po’ più debole, ma non mancano le sorprese, vedi Waves, che con la loro King of the Beach cercano di boicottare la classica pioggia da festival che partita dalla sera tardi del primo giorno non darà quasi mai tregua per le successive 24 ore. E allora gli stand iniziano a regalare non più occhiali da sole ma impermeabili e mezzi di sopravvivenza da campeggio, mentre lo staff ricopre di ghiaia le pozzanghere dove potevano ormai completamente immergersi i bambini del Mini Rock en Seine (zona attrezzata all’interno del festival per piccoli rockers dai 6 ai 10 anni). Black Rebel Motorcycle Club, Nine Inch Nails ma soprattutto Phoenix, questo è stato il secondo giorno – ma la giornata indie non era la prima? – Evidentemente il Rock en Seine come tanti altri festival fa il furbo mescolando i generi tra le varie giornate, costringendoti così a scervellarti per capire se conviene prendere un  biglietto giornaliero o fare “la tre giorni”, ma con questa tecnica devo dire che vincono quasi sempre loro. Anche nell’ultimo giorno di programmazione non mancano gruppi interessanti, ma personalmente guardo tutto un po’ distrattamente perché attendo con la giusta ansia di vedere il live dei Bloody Beetroots per potermi sentire nel mio piccolo orgoglioso sapere dove sia Bassano del Grappa. Per chi non lo sapesse i loro live sono tra i concerti più hardcore a cui potrete assistere ed è imbarazzante la differenza tra quello che si pensa riguardo a loro e la realtà. A questo punto la schiena mi ha ufficialmente salutato e decido di sentire i System Of A Down dalla salita che mi porta al campeggio, dove ogni sera viene organizzato un after bello sostanzioso.

Tirando le somme il Rock en Seine ha un’organizzazione sempre più invidiabile, i servizi sono ottimi, dai bagni al cibo e così via, ma quest’anno il campeggio è stato davvero snervante, quasi a suggerire che l’organizzazione fosse gestita da persone completamente diverse. Basti pensare che in genere nei campeggi dei festival vige la regola del chi prima arriva meglio alloggia, o per lo meno la legge della giungla o del più forte o insomma, gli spazi migliori sono per chi si organizza meglio e/o arriva presto. Quest’anno invece bisognava seguire gli ordini dello staff e hanno iniziato a riempire prima gli spazi tenda più lontani per poi avvicinarsi alle docce e al festival. Praticamente chi è arrivato per ultimo ha avuto la meglio. Lascio il festival con numero: -1 paio di scarpe (il fango ha avuto la meglio), +2 poncio-sacchetti dell’immondizia impermeabili, +2 cappelli di paglia della Lipton e soprattutto -2 ginocchia (con loro mi rivedrò tra un paio di settimane).

Corny-jr
twitter.com/corny_jr

Elio e le Storie Tese – Live @ Grado (UD)

Elio e le Storie TeseOttima performance, come sempre, da parte di Elio e Le Storie Tese che hanno saputo intrattenere la spiaggia di Grado con la verve e con lo humor che li contraddistinguono ormai da 30 anni.
Un ingresso sul palco che lascia poco spazio ai convenevoli e parte a mille all’ora con un’improvvisazione progressive strumentale alla stregua degli AREA, gruppo che viene omaggiato sia durante il concerto che nell’ultima produzione in studio degli EELST.
Senza troppe pause si passa ad una carrellata dei brani più incisivi dell’Album Biango, al quale la band dedica praticamente la prima metà del concerto, mentre la seconda parte è costituita dai successi più classici del gruppo: “Servi Della Gleba”, “Supergiovane”, “Il Rock and Roll”, “T.V.U.M.D.B.” e molte altre.
Dopo circa 1 ora e tre quarti di concerto, arriviamo alla parte finale dello spettacolo con i brani El Pube e La Discomusic che fanno ballare tutto il pubblico sulla torrida spiaggia di Grado, che pare avere tutt’altra idea che lasciar andar via la band, alzando il solito coro di richiamo: “forza panino”.
Dopo circa 5 minuti di coro incessante, i nostri risalgono sul palco per concludere il concerto con uno dei loro brani più riusciti ed apprezzati: “Tapparella”; che lascia spazio anche per il consueto omaggio al mai dimenticato Feiez.

Concerto intenso, performance esilaranti oltre che impeccabili.
Voto: 9

Scaletta:
1.Introduzione Musicale
2. Servi della Gleba
3. Dannati Forever
4. La Canzone Mononota
5. Lampo
6. Il Tutor di Nerone
7. Il Ritmo Della Sala Prove
8. L’essenziale
9. Io per Lei
10. T.V.U.M.D.B.
11. Come gli Area
12. Supergiovane
13. El Pube
14. Discomusic
15. Complesso del Primo Maggio
16. Parco Sempione
17. Born To Be Abramo

Bis:
18. Tapparella

Deep Purple Live Majano 24/07/13

DEEP PURPLEL’età media non era di certo quella di un concerto di qualche giovane artista mainstream, anzi, c’è chi ha esibito maglie dei Purple di qualche improbabile live degli anni ’80.

Il terreno del campo di Majano è pronto ad accogliere migliaia di fan dell’ Hard Rock fatto come dio comanda, e il duro compito di aprire le danze, spetta ai vincitori del concorso indetto da Virgin Radio, i the Panicles, power trio che propone un rock moderno, influenzato da band come gli Arctic Monkeys o i The Killers che piace al pubblico che partecipa spontaneamente all’esibizione.

Passata la mezz’ora di gloria per la band emergente, la tensione tra i presenti sale, e finalmente alle 21 e 45 si ode un’entro in perfetto stile 2001 odissea nello spazio di Kubrick; all’improvviso il famoso rumore di accensione del flipper ed ecco che i Deep Purple fanno il loro ingresso con Fireball e subito il pubblico si scatena.

La band nonostante gli acciacchi dovuti all’età dimostra un affiatamento incredibile e una capacità di intrattenere il pubblico che non sempre band così longeve (46 anni dalla prima release “Shades Of Deep Purple”) riescono a dimostrare.

I pezzi si susseguono senza troppe parole e la gente apprezza ballando e rockeggiando seguendo il ritmo del 68enne frontman Ian Gillan, che molto spesso accenna i suoi famosi acuti.

A metà concerto arriva il turno di The Mule, traccia creata per l’assolo di batteria di Ian Paice, in cui da spettacolo al buio con dei led luminosi inseriti nelle bacchette.

In questo concerto presentano il nuovo album “Now What?” 19esimo in studio, un buon mix di vecchio sound color porpora con una buona resa live.

I classici della band non si fanno attendere, e il pubblico esplode in un boato alle note di Lazy, pezzo rock ‘n’ roll/blues facente parte del loro masterpiece “Machine Head” del 1972. Steve Morse, ormai da 19 anni nei Deep Purple non manca di far divertire il pubblico, è l’orsa del suo assolo, e tra una nota e l’altra ecco l’intro più conosciuto della storia del rock, “Smoke On The Water” che fa danzare vecchi e piccini in un tripudio di note ed assoli, la band saluta tutti e lascia il palco.

Dopo i soliti cori all’italiana, la band si ripresenta dopo un’infinita attesa di quasi 10 minuti sul palco friulano, e ci regala una versione della nota Green Onions nella quale Don Airey all’Hammond regala anche accenni a canzoni classiche come la “Marcia Turca” o il “Nessun Dorma”;

poi un ritorno al loro primo singolo, nonché cover di Billie Joe Royal targato 1968, Hush, un funky rock pieno di cori e ritmo.

Dopo un breve assolo del mai stanco Roger Glover al Basso, la band propone un altro classico dell’altro immancabile album in ogni bacheca che si rispetti di un ascoltatore del rock,  “Black Night” del full lenght “In Rock” in cui nella copertina si vedono i volti dei membri della band scolpiti nel monte Rushmore, al posto di quelle dei presidenti americani.

La serata si conclude dopo 1 ora e 50 minuti di puro Hard Rock, inutile dire che nessuno ci sperava in un concerto così lungo, ma ben costruito, atto ad evitare di sforzare troppo la voce di Gillan, i “nostri” mandano a casa i presenti con un sorriso e tanti ricordi nella mente.

 

VOTO: 9

 

Scaletta:

1. Fireball

2. Into The Fire

3. Hard Lovin’ Man

4. Vincent Price

5. Strange Kind Of Woman

6. Contact Lost

7. Guitar solo

8. All The Time In The World

9. The Well Dressed Guitar

10. The Mule (Drum Solo)

11. Hell To Pay

12. Lazy

13. Above And Beyond

14. No One Came

15. Keyboard Solo

16. Perfect Strangers

17. Space Truckin’

18. Smoke On The Water

 

Bis

19. Green Onions

20. Hush

21. Bass Solo

22.Black Night

Booze & Glory – London Skinhead Crew

recensione - Booze & GloryBooze & Glory – London Skinhead Crew

I Booze & Glory sono una band molto rinomata nell’ambiente Ultras in Italia, e in Inghilterra, che danno alla luce nel 2013 il loro terzo album in studio dopo i precedenti: “Always On The Wrong Side” e “Trouble Free” rispettivamente del 2010 e del 2011.
La title track apre le danze con il brano sicuramente più significativo e musicalmente divertente della Traditional Skinhead band di Londra, che fa riferimento alla loro compagnia di giovani ribelli sempre nelle strade che tra denti rotti, cicatrici, birre e tatuaggi, la passione per la loro squadra del cuore (West Ham United) non prevarrà mai su null’altro.
L’album è un concentrato di energia, oi! e di divertimento, con brani ben costruiti e cori a pioggia che si susseguono l’un l’altro senza interruzioni e quasi sempre le canzoni sono in modalità maggiore, il tutto per far risaltare l’allegria e la goliardia del brano; esempio lampante è “Paradise”!
Tra le varie canzoni di “London Skinhead Crew” che sicuramente saltano all’orecchio c’è “Maybe” un pezzo con un riff che ti entra in testa e non ti esce più, seguito da un ritornello musicale e corale in cui la band parla dell’amore per la loro città natale.
Avram Grant è un bel pezzo rock ‘n’ roll nonchè una compilation di insulti all’ex allenatore (appunto Avram Grant) che ha fatto retrocedere il West Ham e che per lo più prima era il mister degli acerrimi nemici del Millwall, infatti il brano come sotto titolo: sei una leggenda del Millwall e quindi una p*****a!
Back Where We Belong inizia con la telecronaca di una storica vittoria del club londinese azzurro/granata, il cui ritornello è un classicissimo coro da stadio che viene musica per l’occasione ottenendo un risultato notevole.
Non ci sono cali di tensione in tutto l’album, è un rock ‘n’ roll continuo senza fine, con eccezione di un pezzo acustico (stranamente dedicato al football), e il pezzo “Working Hard, Dressing Smart” chiude un album che continua a far parlare di se, per l’irriverenza e l’esplicità con cui racconta il loro stile di vita tra le strade della capitale inglese, il loro amore per il calcio, e l’odio verso le istituzioni e il potere.

Voto: 8

Tracklist:
1. London Skinhead Crew

2. The Day I´m in My Grave

3. Paradise

4. Maybe

5. Avram Grant

6. On Our Way to Wembley

7. Back Where We Belong

8. Come on Your Irons (Acoustic)

9. England Will Never Change

10. Friends

11. Working Hard, Dressing Smart

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