Recensione ‘Magazzino 18’ @Teatro Rossetti 24.10.2013

Foto de 'Il Piccolo'.
Foto de ‘Il Piccolo‘.

Giovedì 24 ottobre, alla terza replica (iniziavano il 22 ottobre e finiscono oggi), sono andato a vedere ‘Magazzino 18’, spettacolo teatrale di Simone Cristicchi. L’evento, organizzato da Promo Music – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, si è tenuto al Politeama Rossetti (Trieste).

Lo spettacolo in prosa, con la regia di Antonio Calenda, racconta una delle pagine più dolorose della storia d’Italia: l’Esodo di oltre trecentomila italiani dalle terre di Istria, Fiume e Dalmazia, avvenuto alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Magazzino 18, infatti, è un particolare ‘luogo della memoria’ che si trova nel Porto Vecchio di Trieste: un posto fuori dal tempo e dalla Storia, contenente tantissime testimonianze di una vita quotidiana vissuta (armadi, materassi, fotografie, giocattoli, letti ecc.) e mai più provata da tutti coloro che scelsero la fuga, da quelle che oggi sono Slovenia e Croazia, solo perché volevano restare italiani.

Lo stato d’animo, la perenne colonna sonora, dello spettacolo, è sicuramente la nostalgia, quella nostalgia che riempiva il cuore di chi lasciava tutto – anche e soprattutto i propri cari defunti, le proprie case, la propria vita: le proprie radici – per andare dall’altra parte dell’Adriatico. Trovando poi, in Italia, sputi ed insulti, quasi come se scappare da quello che si credeva un ‘paradiso socialista’ fosse una colpa ed un’implicita ammissione di apologia del decaduto regime fascista.

Dopo questa breve introduzione, necessaria però per far capire meglio la parte seguente. Lo spettacolo è stato comunque particolarmente bello ed emozionante: bravo Cristicchi con i suoi monologhi, capace di rendere molto bene quello che poteva essere stato lo stato d’animo di chi dovette lasciare tutto, da un giorno all’altro, per non morire in fondo ad una foiba. Toccanti le storie raccontate, come quella di Norma Cossetto, della strage di Vergarolla (Pola) e dei suoi improvvisati eroi quotidiani, di Marinella, bambina di un anno morta di freddo l’8 febbraio 1956 nel campo profughi di Padriciano (poco lontano da Trieste). Interessanti, poi, le storie ancora meno conosciute, come quella del ‘contro-esodo’ di 2.000 monfalconesi, che volevano contribuire alla costruzione del paradiso terrestre di Tito (il Presidente comunista della Repubblica Federale di Yugoslavia) e che, mentre in Italia si cantava ‘Papaveri e papere’, finirono per morire di fame nell’isola di Goli Otok (Isola Calva in italiano), un cimitero naturale al di là del mare.

La storia, sottolineata da musiche e canzoni inedite di Simone Cristicchi, con un’ottima prestazione della FVG Mitteleuropa Orchestra diretta da Valter Sivilotti, è stata raccontata in modo intellettualmente molto onesto da parte di Cristicchi, cosa ancora più apprezzata in un Paese in cui le strumentalizzazioni sono all’ordine del giorno. Anzi, proprio il teatro è stato in questo caso il mezzo per passare un messaggio di riavvicinamento e ricomposizione, di ricordo senza rancore, senza ulteriori polemiche. Perché in fondo è questo, quello che per tanti anni gli esuli hanno richiesto: non vendetta, ma un giusto ed onesto ricordo su quello che loro hanno provato.

Storie di gente fiera, onesta, alla quale Cristicchi chiede (sotto le spoglie del romano Persichetti, l’archivista del Ministero dell’Interno che l’artista capitolino interpreta in quest’opera), semplicemente e sommamente al tempo stesso, scusa. È stato proprio questo, infatti, quello che più mi ha commosso (sì, mi sono commosso pure io che solitamente piango solo per i film con i cani). Non sono state tanto le storie, infatti, a colpirmi: molte di queste le conoscevo già da diversi anni, il che mi aveva permesso di ‘interiorizzarle’, quindi comunque di non stupirmi particolarmente nel sentirle (salva comunque l’emozione che il medium del teatro ti fa provare).

Quello che mi ha toccato nel profondo è stato, piuttosto, vedere alla fine tutto il teatro in piedi per applaudire Simone Cristicchi, un artista romano (quindi non della zona) di un certo livello di fama e qualità, che portava al grande pubblico dei teatri (non più solo quello delle conferenze e delle commemorazioni, cui per anni era stato confinata) una pagina di storia su cui per troppo tempo si era voluto stendere un telo di oblio storico, per svariati motivi. Realizzare che, forse, dopo quasi settant’anni, nella memoria condivisa della nostra Nazione c’è posto anche per questi fratelli e sorelle proveniente dalle terre al di là dall’acqua, non più storie di vite rinnegate ma finalmente dolore e ricordo di una intera comunità nazionale.

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