VOODOO SOUND CLUB – Mamy Wata – recensione

Girandola di suoni, battiti, ritmi e vocalità, in una miscela di colorato afrofunk che scalda l’anima e fa pensare. Alla leggerezza e piacevolezza della musica fanno da contraltare testi seriamente impegnati ed attuali. Peccato per qualche passaggio a vuoto in fase di scrittura, qualche momento meno a fuoco nell’intento di coltivare l’anima dell’ascoltatore:con meno dispersività e qualche accorgimento parleremmo di un grande disco, e non semplicemente di un buon disco.

La musica etnica in Italia ha trovato nuova linfa con i Voodoo Sound Club.

Voto

3/5 (abbondante per l’impegno)

http://www.youtube.com/watch?v=OVKJyxUqibI

Non abbiamo udito abituato alle sonorità sviluppate nell’album “Mami Wata”, del gruppo romagnolo Voodoo Sound Club, ma è certamente riduttivo definirli musicalmente come una miscela esplosiva di suoni etnici belli e ben assortiti, perché la volontà è quella di conferire un’anima più profondamente spirituale alla musica, con una precisa idea legata alla contaminazione ed alla ricerca della mediazione.Il caloroso caleidoscopio che ci aspetta è evidente sin dalla copertina dell’album e la varietà presente all’interno delle otto tracce fornisce molteplici ascolti: si inizia con ritmo e divertimento, suoni afro e richiami etnici, conditi da trombe e chitarre funk (nelle prime due tracce), stile che torna, dopo un passaggio da canto popolare africano, nella parte centrale del disco, ovvero le due canzoni “Erzule” e “Obatala”.

Si sono avvalsi della collaborazione della banda di paese per aumentare la loro sezione fiati e portare il suono, di matrice afro-beat, funk e sfumato di jazz, ad un respiro maggiore, con l’autorevole sassofono di Guglielmo Pagnozzi a dirigere l’intercedere della funzione santerica.La leggerezza musicale fa da contraltare all’impegno dei testi, sviluppati in unione al chitarrista e cantante marocchino Reda Zine, affrontando temi quali le conseguenze di esperimenti nucleari nel Sahara, il razzismo, la rivoluzione e l’apertura mentale: testi impegnativi, resi fruibili ed assimilabili triturando per poi ricucire il tessuto di suoni su cui ballare è praticamente inevitabile.Non è tutto oro però quello che luccica: il susseguirsi delle tracce è forse un po’ troppo vario, non dando punti di riferimento; a volte si ha la sensazione di deja-vù, soprattutto per quanto riguarda tromba e chitarra, rivolte a contrastare il ritmo ossessivo delle percussioni, orientate invece positivamente a saltare tutto l’apparato auditivo per entrare direttamente nel sangue.

I Melt yourself down, gruppo che può essere associato ai Voodoo Sound Club per idee, suoni ed attitudine, resta una spanna sopra.  In Italia però  la musica etnica può contare ora su nuova forza grazie a questo album, con l’auspicio e la convinzione che, se i musicisti coinvolti convogliassero maggiore attenzione ed impegno sulla scrittura musicale, il risultato sarebbe ancora migliore, dato che già soddisfa appieno.

by  Il bianco delle ossa