Daniel Pennac : “Storia di un corpo” Pordenonelegge2015

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Daniel Pennac inaugura l’edizione 2015 di Pordenone Legge , intervista di Fabio Gambaro

 

FG : “Dopo tanti anni di incontri con il pubblico, cosa trovi ancora in queste occasioni ?”

DP : “Ho sempre il piacere di incontrare il pubblico, la sala è  sempre viva e va in contrasto con la mia scrittura che è una attività che si
nutre di solitudine, quando scrivo ho addirittura difficoltà  a frequentare me stesso”
“Nell’incontro scrittore-lettore, il lettore vuole incontrare lo scrittore ideale e lo scrittore vuole trovare il lettore ideale .
Quindi sia il lettore ideale che il critico ideale altri non sono che la proiezione dello scrittore che vuole essere compreso. Spesso però, nella realtà, il lettore ed il critico parlano di cose diverse dallo scrittore anche se stanno chiacchierando dello stesso libro.
La domanda infatti è : come spieghi che in occasione del festival sia i giornalisti che i lettori chiedono poco sulla scrittura e molto su cose personali o cose che succedono nel mondo”

 

FG : “Però tu sei uno scrittore che si confronta con il mondo , hai parlato di scuole, dittature. Un giornalista chiede anche di questo”

DP : “Forse è una costante :  si parla sempre poco di letteratura,   lo scrittore diventa un animale particolare che può parlare e sapere di qualsiasi cosa.”

 

FG : “Lo scrittore ha un desiderio e un bisogno :  bisogno di esprimersi e il desiderio di portare  i suoi pensieri a qualcun’altro, concordi ?”

DP : “C ‘è il desiderio, che non sai da dove provenga, che ti impegna e ti isola. C’è poi realmente il bisogno di essere letti, anche se spesso ho scritto senza questo desiderio. L’estremo lo raggiunse Fernando Pessoa che mentre scriveva ” il libro de l’inquietudine” non voleva essere letto e buttava tutti i fogli dopo averli scritti”

 

FG : ” Tu però  hai pubblicato per il pubblico e hai cercato il rapporto con il pubblico. Quando scrivi a cosa pensi ? Sei sorpreso dai tuoi lettori ? C’è qualche persona che ti ha letto che non avresti mai immaginato ?

DP : “Dipende se si tratta di un saggio, sai che risposte e rifiuti fanno parte dello scritto, per i romanzi non so, non riesco ad immaginare un lettore tipo. Ad esempio ricordo un critico del Figarò,  cattivissimo, che elogiò la “Prosivendola” ma lo fece in modo strano utilizzando  una frase che era la matrice del libro. Spesso c’è un desiderio di scrittura, l’ incipit ti da l’impressione di immergerti nella lingua come se fosse acqua. Qui nasce la necessità del racconto. Prima costruivo il racconto con una struttura ma a volte volevo solo la sonorità dell lingua e mi perdevo.”

 

FG : “Belleville racconta un mondo di 30 anni fa. Rispetto ad adesso che riflessioni ti da ?”

DP : “Una riflessione ricca e fragile, multiculturale. La fine del ventesimo e  l’inizio del ventunesimo secolo ci hanno fatto vedere le comunità multiculturali esplodere :  Sarajevo e Beirut ad esempio. Le società multiculturali sono diventate il capro espiatorio.  A Belleville questo non è ancora successo. Ci sono tantissime comunità, ad esempio c’erano 17 nazionalità diverse nel palazzo dove vivevo. Belleville ha maturato questa cultura prima con gli Ebrei nel 1920, poi con l’ immigrazione africana post coloniale, l’ immigrazione dei Cinesi del vietnam negli anni 60, infine con Croati e Serbi dalla ex Jugoslavia. Molti degli abitanti di Belleville hanno ancora le famiglie minacciate nei paesi di origine. Belleville funziona perchè il tessuto commerciale e culturale è equilibrato.

 

FG : “In francia pero la xenofobia è in aumento. Secondo te cosa dovrebbe fare l’ Europa ?”

DP : “Prima di tutto vorrei parlare di invasioni gigantesche, tutte le radio e tutti i giornali ne parlano. Quante sono  le persone, quale è la proporzione tra rifugiati ed europei ? Parlo di Europa nel suo intero, se parliamo di singoli stati diamo solo  voce ai nazionalismi . Che vorrebbero che l ‘Europa non esistesse. Anche se culturalmente  l’ Europa non esiste in verità. Continuiamo a parlare le nostre lingue, studiamo le nostre lettere. Provate ad immaginare se dagli anni ’70 le prime cinque nazioni fondatrici avessero deciso di scambiarsi i bambini un trimestre scolastico, dai 10 ai 18 anni. Mio figlio ad esempio avrebbe parlato l’ italiano, fatto con intere classi avrebbe insegnato loro a parlarsi e conoscersi. Forti di questa identità non avremmo avuto paura di chi sarebbe arrivato.”

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Luca

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Station Manager The Great Complotto Radio