Recensione – Killswitch Engage “Disarm The Descent”

Recensione Killswitch engageL’abbandono dopo una decade di successi del’ afroamericano Howard Jones, riapre le porte al primo cantante nonché membro fondatore dei Killswitch Engage, Jesse Leach.

Dopo il capolavoro “Alive” or “Just Breathing” dove la band originaria del Massachussets dimostrò come un intera band si può plasmare attorno alla voce di un singer creando delle sonorità e melodie al di fuori della portata di molti, “Disarm the Descent” non poteva che essere un compromesso tra le due ere passate: quella degli esordi, molto diretta e dal riffing veloce e spinto, e quella degli ultimi 10 anni, dove la melodia e la cadenza la facevano da padrona.

E’ molto evidente che la melodia è diventata carattere portante dello stile della band, tanto da costringere il ‘neo’ cantante a dover molto spesso imitare Howard; tutto ciò per molti può significare che Jesse, sempre abituato a scream acidi, possa dimostrare di raggiungere ciò che Howard ha costruito negli anni, ma per molti altri non può assomigliare a nient’altro che ad una mera imitazione mal riuscita.

Un álbum con molta poca innovazione viste le aspettative, ma ad alto ritmo, ben suonato e soprattutto grazie al chitarrista/produttore Adam Dutkiewicz, di una produzione incredibilmente perfetta nei dettagli; ciò non basta però a renderlo un album migliore dei precedenti capolavori, questo anche grazie al fatto che nel complesso non ci sia nemmeno una canzone che venga all’orecchio più delle altre se non il singolo “In Due Time”.

 

VOTO:6,5

Recensione – Nile, “At The Gates Of Sethu”

Recensione- NilePadroni incontrastati del brutal tecnico e raffinato, i Nile ritornano nelle bacheche dei negozi di dischi con il nuovo lavoro intitolato “At The Gates of Sethu”.

Il disco segue il capolavoro del 2009 “Those Whom God Detest”, annoverato come uno dei migliori full length in casa Nile, nonché uno dei migliori album estremi dell’anno.

Come già detto, segue sulla falsariga le sonorità del precedente lavoro, non apportandoci modifiche rilevanti, dove molto spesso i riff di chitarra risultano piatti e i suoni li rendono ancora meno efficaci, e stessa cosa vale per le parti solistiche.

La prova strumentale dell’annoverato e idolatrato batterista George Kollias è come sempre magistrale e sembra dar l’impressione di aver inventato qualche tecnica nuova ad ogni nuovo album che la band americana di ben nota ispirazione mitologica egizia fa uscire, ma non è sufficiente a lasciare sull’ascoltatore un segno indelebile a fine ascolto.

I suoni della batteria poi sono troppo finti e ritoccati rispetto allo standard a cui ci hanno abituato i 4 nerboruti metaller della South Carolina, e l’unica cosa che spicca, è il ritorno dietro al microfono del buon vecchio Jon Vesano, già noto per aver interpretato vocalmente alcuni precedenti album.

Ogni canzone è una mazzata senza compromesso nei denti, ma purtroppo priva di personalità, e quasi sempre fine a se stessa, ciò non lo rende un disco fondamentale da dover presenziare in ogni radio dei fan più estremi del metal.

VOTO: 6

Recensione – iVenus, “Dasvidanija”

iVenusLa migliore definizione dell’ album “Dasvidanija” ce la forniscono gli stessi iVenus, con il ritornello della prima traccia: “Voglio vivere nel pop, io non ci sto”.

Nel pop infatti ci sguazzano alla grande : melodie orecchiabili, ritmo incalzante, testi bizzarri e apparentemente leggeri, che a tratti sfiorano il non-sense.

Tutto questo non sembra però bastare alla band savonese, che si diverte a giocare con l’elettronica e gli effetti sonori, aggiungono una batteria quasi hardcore e tastiere sinuose ad ogni brano, rivelando un’autentica vocazione all’indie-rock.

Il risultato è un suono molto compatto e peculiare, il dosaggio degli ingredienti cambia ad ogni brano ma nella sostanza rimane invariato (“Settembre” e “Ventricoli” i brani più riusciti), dando un senso di continuità all’intero album : solo il pezzo di chiusura, “Dasvidanjia”, ne rallenta il ritmo frenetico e ne ammorbidisce i suoni, creando la giusta sfumatura di chiusura.

Un album curioso e ben pensato, che scorre senza intoppi e riserva momenti davvero travolgenti.

Quando il pop non basta.

Recensione – Speed Stroke Debut Album

Recensione - Speed StrokeLunga vita all’hard rock, e se a farlo è una giovane band tutta italiana.. Beh l’augurio vale doppio.

Un debut album decisamente esplosivo quello degli Speed Stroke, quintetto romagnolo con la precisa idea di spaccare tutto a suon di riff potenti, buoni arrangiamenti ed una voce apoditticamente micidiale.

Tutto il cd è un continuo susseguirsi di energia allo stato puro ben armonizzato con un paio di ballad che, con il pretesto di prendere gli accendini per creare una particolare atmosfera intima e romantica, lasciano appena il tempo di riprendere fiato prima di ricominciare a saltare e scuotere la testa a tempo.

Il trittico di brani che apre il cd – Sick of You, Nothing’s True, Lookin’ Down – è la giusta combinazione di grinta, potenza e un pizzico di “commercialità” che serve a far entrare l’ascoltatore nell’emisfero di suoni ruvidi, ma allo stesso tempo carismatici e avvolgenti.
La prima ballad proposta – Burning Heart – melodiosa e tendente a far salire la glicemia, mi fa venire in mente brani quali Always dei Bon Jovi, Iris dei Goo Goo Dolls e Here Without You dei 3 Doors Down; questo rimando non vuole essere un rimprovero come a voler dire “sembra una copia”, anzi vuole essere un’altra conferma di quanto questi ragazzi sappiano farci, così tanto da avvicinarsi a standard molto molto alti.

L’altra ballad – Shine-, completamente acustica, è un altro pezzo che potrebbe ascoltare chiunque e quindi che ipoteticamente aprirebbe la strada verso un pubblico più vasto e vario; tengo a precisare che entrambi i pezzi sono carini e orecchiabili, ma dal mio modesto punto di vista gli Speed Stroke non sono fatti per questi suoni morbidi e docili, sono fatti per mitragliare il pubblico con un sound festaiolo, graffiante e selvaggio.

Fortunatamente Age of Rock’n’Roll, tra l’altro primo singolo della band, fa ripigliare tutti dalla mosciaggine con un riff incalzante ed una linea vocale incisiva e prepotente.

Una menzione speciale è da fare al brano Speed Stroke Of Fire, cover attenta e studiata di Great Balls Of Fire del “Killer”; la band riadattandola con sonorità più vicine al loro stile riesce a renderla ancora più ribelle e incredibilmente movimentata: roba da far alzare dalla sedia per ballare anche i coetanei di Jerry Lee Lewis. Il colpo di genio dell’album.

Da queste parti tanti dicono che il rock è un genere da “un colpo de cavei e un colpo de chitara”(headbanging e zappate sulla chitarra), ma gli Speed Stroke sono molto più di questo: sono la combinazione perfetta di cinque elementi che riescono a fondere insieme le loro idee e i loro diversi background per creare questo sound aggressivo, energico, potente, a tratti impertinente, ma soprattutto sudato e fatto con il cuore, come quello sulla copertina del loro omonimo album di debutto.

Sito web: http://www.speed-stroke.com

Membri Speed Stroke:

Jack – voce

D.B. – chitarra

Niko – chitarra

Fungo – basso

Neb – batteria

Recensione – “Awakened”, As I Lay Dying

Recensione- As I Lay Dying“Awakened”, ultima fatica degli As I Lay Dying uscita per Metal Blade Records,  necessita di numerosi ascolti prima che possa essere capita veramente, ma già dalla prima traccia, Cauterize, il tutto fa presagire ad un massacro sonoro a cui la band americana ci ha abituati in questi anni.

 “A Greater Foundation” e “Resilience” inframmezzano l’album con nuove sperimentazioni sonore, dei pezzi molto ben costruiti nel complesso che alternano il vecchio sound deathcore americano a melodie degne di emo-punkrock band da MTV.

Per quest’ultimo album, hanno optato infatti per una corposità maggiore nei riff e nei suoni che rendono l’ascolto dei cori melodici più piacevole ed emotivamente coinvolgente, visto il nuovo ruolo del bassista Josh Gilbert che in questo lavoro conta una presenza vocale praticamente in ogni pezzo, quando nei precedenti album due o tre canzoni al massimo vantavano la sua prova canora.

Questo ha sicuramente contribuito ad una maggiore vendita e ad un accrescere di fan nelle file dei più giovani, e altrettanto sicuramente ha fatto storcere il naso anche a molti dei vecchi fan, fermo restando che le loro prove dal vivo, rimangono delle esibizioni veramente magistrali, che sia in un grande festival o in un locale di provincia; questo, a prova della loro raggiunta maturità da un punto di vista scenico oltre che musicale.

L’album scorre in maniera gradevole senza creare sensazioni di noia, fino all’arrivo di “Defender”, in cui non c’è speranza per qualsiasi fan del metal, perchè sia esso in camera, in macchina o in mezzo ad una piazza affollata, all’arrivo del breakdown, la necessità di fare headbanging diventa fondamentale, non curandosi della presenza di nessuno. Un pezzo riuscito, indubbiamente.

L’album infine si chiude con “Tear Out My Eyes”, altro brano degno di nota in cui l’ultra palestrato cantante Tim Lambesis sfodera uno scream tagliente, sempre accompagnato dai cori di Josh e dalle 6 corde di Nick Hipa, giovane chitarrista di origini hawaiane, giapponesi e irlandesi che incastra melodie attorno alla linea vocale pulita.

Un lavoro ben costruito.

VOTO: 8

Live – SUEDE are back

Suede are backSuede  recent gigs in London: Rough Trade, 22nd March; Alexander Palace, 30th March.

When Suede announced earlier in the year that they would reform and that they had a new studio album to release, a few eyebrows were raised.  What could Suede possibly cook up after nearly a decade of radio silence?  Well, they came up with a very good, perhaps more mature sounding album and an enormous amount of energy to promote the hell out of it!

Both shows were excellent! The Rough Trade gig was a much more intimate affair that only a very few lucky hard-core fans had the privilege to experience.  Their Alexander Palace performance was seen by hundreds of fans and still Suede, but especially Brett, managed to engage each one of them.

They started with the first 3 songs of their new album, “Bloodsports”, released on March 18th and the crowd seemed to already know all the words. They followed up with “Animal Nitrate” and that’s when things started to get pretty serious, with fans going crazy and starting to push frantically towards the stage.  The full set was 23 songs and nicely covered their catalogue (even playing two songs from their less appreciated “Head Music”), fans were ecstatic to hear some of their rarer songs, such as “Sleeping Pill” and “Killing of a Flashboy”  as well as thrilled to familiarise themselves with their new material.

Suede, always great live, were in top form, tighter than ever.  Brett was a ball of energy, jumping and dancing around more enthusiastically than most neo-pop stars half his age; trying, and successfully may I add, to constantly secure the attention of everyone in the audience.  He repeatedly urged the crowd to sing along and everyone was more than happy to oblige, especially on Suede’s trademark “la-la” refrains and on their most famous track, “Beautiful Ones”.

Overall, there was a tangible distinction between their old material and their new songs, but not because the crowd was less perceptive with the band’s new sound. The difference is that Suede have emerged as a more mature sounding band, singing about more aged subject matters.

Hands (…and eyebrows) down!  All their fans are thrilled to have Suede back, on top form and with a very decent album indeed.

If you don’t know Suede, check them out on www.youtube.com/watch?v=D54iGj64dis and watch out for single #2 (due to launch on May 27th)

Serena

Recensione – Inspiral Carpets new single

inspirals-02-2-w444h262A piece of musical history from Manchester, I mean Madchester. Do you remember the Happy Mondays? Well, I am talking about their ‘little brothers’: the Inspiral Carpets.

After years of dynamic changing, also scaring their fans with a pretty long suspected split, the Inspiral Carpets have recently reformed with the original singer and founder member Stephen Holt. Then a brilliant tour around UK last March, a clever collaboration with the Charlatans front-man Tim Burgess, and a new single is done!

Psychedelic and garrage-rock sounds are always their winner horse. So the lovely classic Carpets are not only keeping dancing and singing lots of fans, but are also addicting to their irresistible vibrations new young hearts.

The next appointment is on the 20th of April to celebrate the Record Store Day 2013: a unique collaboration between the Carpets and Tim Burgess to release a 7” single with two brand new tracks: ‘Fix Your Smile’ and ‘Save Me’. Attention folks, a limited edition of the new single will be available on OGenesis Records on the Record Store Day. So, guys write down that special event on your diary!

For who of us is too far away (like me actually), ‘Fix Your Smile’ will be available as a digital download in about two weeks (4th May).

Love to you all ♥

Get informed http://www.inspiralcarpets.com/ 

Current members

  • Graham Lambert – guitars
  • Craig Gill – drums
  • Stephen Holt – vocals
  • Clint Boon – keyboards, vocals
  • Martyn Walsh – bass

http://www.youtube.com/watch?v=BVYnkOPPtec

Recensione – news from Mount Fabric

mount fabricJuly 2011. I was in Manchester, UK, looking for some nice music. Then I found a gig that impressed me, it was performed by Mount Fabric. And I am very happy to hear that now, April 2013, they are working in progress.

Their style reminds me lovely Radiohead. They are not only playing an instrument, these four guys hold them leave their energy in dynamics and catchy melodies, like a tender nuclear explosion. The singer and lyricist Alex Marczak uses his sweet voice in a perfect falsetto, sending dark messages around the sounding space.

The young progressive pop/rock band from Manchester, first met in 2007, had a great 2012 touring around England and California, also writing and recording new songs.

And now it is the time to launch the new single “Heuristic Fits”, released on Crystalline Recordings on April 15th 2013, that is a song about the failings of the human brain as it tries to comprehend the meaning of life, the universe and everything.

Also the new collection of work will explore the themes of science, religion and the meaning of life, with absolutely nothing about relationships… that sounds very interesting!

Hope to listen you soon, very soon…

Cheers & love to MCR

Info and news http://www.mountfabric.com/home.cfm

Band Members

  • Alex Marczak – Vocals/Guitar
  • Joel Godfrey – Guitar
  • Duncan Robjohns – Bass
  • Ryan Cowburn – Drums

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=Kw7B2uN0F2s

RIVAL SONS 04.04.13 @ New Age Club, Roncade TV

 

Rival Sons: un tuffo negli anni ’70 fatto con stile e personalità.

Una band di Los Angeles che ha saputo incarnare un sound probabilmente non innovativo, ma atteso da anni.

E’ scontato il paragone con i mostri sacri come i Led Zeppelin ma non per questo da sottovalutare o snobbare.

Dal palco del New Age hanno saputo dire che la musica che propongono è semplicemente quello in cui credono.

 

Hanno aperto il concerto con “You Want To”, brano dell’ultimo album, impreziosito di improvvisazioni.

Per tutta la serata hanno saputo dosare a puntino energia e sentimento. La voce di Jay, il cantante, graffiante ma coinvolgente, faceva da cardine a tutta la band. La sua figura sembrava distaccata dalla realtà, immersa tutta nel suo mondo fatto di rockers d’altri tempi. Non è facile sapere se questo atteggiamento sia solo di facciata, ma poco importa. Il risultato finale dava una possibilità anche ai più giovani di rivivere un vero concerto rock fatto semplicemente di passione, voce, riff taglienti di chitarra e tanto tiro ritmico.

“Jordan” è stata la canzone che ha emozionato di più mentre era ovvio che “Pressure and Time” sia stata accolta con un boato dal pubblico.

Lo stile di Scott alla chitarra lascia poco spazio alle interpretazioni: il miglior blues fa la voce grossa tra accordi slide e riff pentatonici.

Una nota di merito va anche al batterista così spontaneo e con tanta voglia di godersi il palco, mentre il basso di Robin riempiva tutti gli spazi così da non sentire la mancanza di altri strumenti.

 

Un quartetto che avrà ancora molto da dire con la speranza che tornino presto in Italia e magari con più concerti.

 

Degni di nota il gruppo che ha aperto la serata, i canadesi The Balconies, con la cantante/chitarrista Jacquie Neville carismatica ed energica. Più vicini al brit rock si sono impossessati del pubblico lasciando molti a bocca aperta. Da tenere d’occhio anche loro!

 

I Rival Sons sono:

 

Jay Buchanan – voce

Scott Holiday – chitarra

Robin Everhart – basso

Mike Miley – batteria

 

 

Scaletta:

 

You Want To

Get What’s Coming

Wild Animal

Gypsy Heart

Torture

Memphis Sun

All The Way

Until The Sun Comes

Jordan

Manifest Destiny Pt. 1

Keep On Swinging

Pressure And Time

Sacred Tongue

Face Of Light

 

bis:

Burn Down Los Angeles

Soul

 

Giorgia Favaro

Recensione – Negrita in Unplugged Tour 29/03/2013

Recensione - NegritaSono ormai diciannove anni, dal 1994 (avevo appena tre anni) in cui uscì il loro primo album, omonimo della band, che i Negrita bazzicano le chart radiofoniche del Belpaese. Dopo l’ultimo album di inediti ‘Dannato Vivere’, seguito da un tour terminato nell’ottobre del 2012, ecco nuovamente Pau e compagni, instancabili, marcare i principali teatri d’Italia, con l’originale Unplugged Tour 2013, comprendente più di trenta date, tra le quali, Trieste. Noi c’eravamo e questo è quello che abbiamo visto ma, soprattutto, sentito. La particolarità di queste date, oltre al fatto di essere unplugged, è l’esecuzione live di brani che finora erano sempre rimasti confinati nei meccanici limiti del digitale. Nuova vita quindi, alla musica dei Negrita e, perché no, a loro stessi, traendo ispirazione da una massima del jazzista Miles Davis: «il compito della musica è valorizzare il silenzio, il più puro dei suoni. Il vuoto non deve essere riempito, ma esaltato». Less is more è la base ideale di questo tour minimal che dà forse più importanza all’armonia dei silenzi che ai suoni stessi. La data triestina, organizzata da Azalea Promotion in co-organizzazione con il Comune di Trieste – Assessorato allo Sport, in collaborazione con Il Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Live Nation, si è tenuta presso il Politeama Rossetti, affascinante location nel centro cittadino, affollatissimo da gente di ogni età già mezz’ora prima delle canoniche 21, ora di inizio del concerto. Lo spettacolo inizia con ‘Bonanza’, tratto dal primo album del 1994. L’acustica, va detto, non è granché, quindi non si riesce ad afferrare che qualche parola di quanto cantato da Paolo Bruni in arte Pau, il front-man del gruppo. Nonostante questo, però, l’atmosfera è fin da subito emozionante, e si decide di aguzzare ancora di più le orecchie, nella speranza che la qualità audio delle canzoni successive sia migliore. ‘Vai Ragazzo Vai’ vede affiancarsi ad un arrangiamento orientaleggiante l’effetto delle luci del Teatro, capace così di creare un’atmosfera esotica e lunare al tempo stesso. Viaggiando indietro nel tempo, missione non troppo secondaria di questo tour, si finisce per ritornare a quel blues del Mississippi fatto proprio dalla band toscana quando, nei primi anni Novanta, iniziava a girare la propria regione (con il nome di Negrita Blues Lovers) suonando Muddy Waters, BB King, Robert Johnson. Ruggente. In ‘Cambio’, accompagnata da una grande partecipazione del pubblico, cantano le chitarre e suonano le mani, in una pirandelliana unione tra palco e platea. Poi arriva il turno di ‘Hemingway’, un viaggio alla ricerca del centro dell’anima e del mondo.
Come ogni gruppo che abbia alle proprie spalle una storia, anche i Negrita hanno avuto le proprie sbandate musicali, che li hanno spinti a lasciare un certo tipo di tracciato musicale per affrontarne altri. La prima introspezione, attraverso il Sud America, non è bastata. I componenti della band sono stati infatti colti da una primordiale voglia di ricavare qualcosa dall’ombelico del mondo, dall’Africa. Esiste una zona, in Mali, dove si utilizza la chitarra in un modo molto caratteristico, tanto da essere divenuto in seguito l’embrione del blues afro-americano. I Negrita di tutto ciò se ne sono accorti, e proseguendo nello studio di questo spirito esotico ed ancestrale ne hanno ricavato dei riff che sono poi divenuti delle canzoni, come ‘Che rumore fa la felicità’.
Il Teatro continua, canzone dopo canzone, ad accompagnare la band toscana con calore ed uno scambio reciproco di emozioni, tanto da meritarsi l’encomio di Pau, che, dopo aver dichiarato che «Trieste ha l’applauso più lungo di tutto il tour», abbraccia tutti, in particolare le ragazze, che ricambiano con molto affetto e forse ricambierebbero anche con tanto altro, ma in fondo non spetta a noi dirlo.
Arriva ‘Sale’: esecuzione molto veloce, con il maldestro contributo dell’acustica sembra una serie di supercazzole. A quanto pare però non basta questo per fermare il pubblico, che è proprio adesso che inizia ad abbandonare i propri posti andando a scatenarsi sotto il palco. Tempistica più che opportuna, visto che ‘Radio Conga’ scalda ancora di più l’atmosfera in un climax emotivo e musicale che si protrarrà fino al termine. Il suo inconfondibile incipit annuncia una ‘Rotolando Verso Sud’ torrida. Se fuori non piovesse e non ci fosse la tipica brezza triestina, si potrebbe pensare di essere in estate e di trovare il sole all’uscita. Basta però chiudere gli occhi per farsi catapultare in una qualsiasi delle assolate mete cantate dal gruppo toscano, capace di far viaggiare l’anima semplicemente chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dall’armonia delle note e delle parole.Una parvenza di conclusione ed ecco la band tornare nuovamente sul palco per un’interpretazione eccelsa di una ‘Ho imparato a sognare’ piena di significati, non per nulla re-interpretata anche dalla Fiorellona nazionale (n.d.a. Fiorella Mannoia). Pau, incantato dai colori oro e blu del soffitto del teatro, descrive Trieste come una Porta d’Oriente: «Sembra di essere a Istanbul, dice». Pare che, parlando del più e del meno con un ragazzo straniero prima del concerto, egli gli abbia detto che questa è una città dove non ha mai vissuto razzismi. Un aneddoto che scalda i cuori e ringalluzzisce un po’ quell’orgoglio identitario troppe volte soppresso dai titoli dei quotidiani. Dopo ‘Gioia infinita’ arriva la presentazione degli artisti: Chris (batteria e basso), Gando (basso, violoncello, pianoforte, organi, mellotron, wurlitzer), Drigo (basso), Pau (voce, chitarra acustica, cembali, armonica e basso). Il concerto, partito con auspici non troppo buoni ma riuscito a migliorare e chiudere sicuramente nel migliore dei modi, si chiude con ‘Mama Maè’. Un gran successo per i Negrita, ormai alla conclusione del loro tour, che si riconfermano nuovamente capaci di emozionare con la propria musica un pubblico dell’età più varia ma sicuramente innamorato della vita. Se è vero che la felicità ha un proprio rumore, questa sera sicuramente i Negrita lo hanno suonato nel migliore dei modi.

Riccardo

 

La scaletta del concerto:
Bonanza
Vai Ragazzo Vai
L’Uomo Sogna di Volare
Bum Bum Bum
Cambio
Hemingway
Brucerò X Te
Luna
Che Rumore Fa La Felicità
Tutto Bene
Lontani Dal Mondo
In Ogni Atomo
Destinati A Perdersi
Il Libro In Una Mano
Sale
Radio Conga
Un Giorno Di Ordinaria Magia
Rotolando Verso Sud
Bis
Ho Imparato A Sognare
Splendido
Dannato Vivere
Gioia Infinita
Mama Maè

Recensione di Riccardo